Istruzione e formazione, anche così si combattono gli estremismi
L’istruzione e la costruzione di competenze strappano manovalanza ai gruppi terroristici che intanto trovano spazio proprio in quelle regioni, come il Sahel, dove meno incisiva è la presenza dello Stato.
Istruzione contro terrorismo. La formazione professionale e l’istruzione di base come antidoti alla violenza e alla propaganda estremista, come quella condotta in Nigeria da Boko Haram. E’ un assioma evidente, ma purtroppo non è sempre di semplice attuazione. Nelle regioni dove maggiore è il disagio sociale, Boko Haram è riuscita a ritagliarsi uno spazio d’azione che fa presa su alcune fasce di popolazione, in particolare giovani. Una moto, un’arma da fuoco, una manciata di riso: è così che nelle aree dove maggiore è l’incidenza del disagio sociale, i più giovani e meno formati vengono spesso irretiti da promesse e prebende che si trasformano in immediate certezze a fronte di incertezze sul futuro.
“In Nigeria abbiamo una ricchezza di materie prime che non si limita al petrolio e abbiamo un problema: esportiamo materie prime grezze e importiamo prodotti finiti ovvero non creiamo valore aggiunto a livello locale” racconta al mensile Africa e Affari Mohammed Sani Haruna, vice presidente e ceo della National Agency for Science and Engineering Infrastructure (Naseni). Questo, secondo Haruna si traduce in mancati posti di lavoro, mancato sviluppo e di conseguenza disagio sociale. “Maggiore formazione professionale e istruzione primaria – aggiunge Haruna – significa maggiori possibilità che quei giovani non diventino soldati di Boko Haram ma intraprendano percorsi diversi, anche di auto-imprenditorialità, contribuendo in questo modo alla loro crescita personale e a quella del tessuto sociale cui fanno riferimento”.
Un percorso possibile e che si può velocizzare, secondo Haruna, attraverso la cooperazione e la collaborazione con i partner internazionali.
Le preoccupazioni di Haruna non si limitano alla Nigeria; se allarghiamo lo spettro dell’analisi alla regione del Sahel appare evidente come il collasso delle condizioni di sicurezza a cui si è assistito in questi ultimi dieci anni – più o meno dalla caduta di Muammar Gheddafi in Libia in poi – ha generato un effetto domino drammatico. Qualche tempo fa, intervenendo proprio su Oltremare, era stato Samuel Freije-Rodríguez, lead economist di Banca Mondiale, a parlare di una Crisi delle tre C – conflitti, cambiamenti climatici, Covid-19 – e di una “tempesta quasi perfetta” che potrebbe segnare la vita di oltre cento milioni di persone da qui al prossimo anno, spingendoli nella povertà estrema. Questa tempesta perfetta rischia di innestarsi su una situazione che in alcune aree geografiche è già precaria, se non ben oltre il limite, come nel Sahel. L’istruzione e la formazione professionale possono essere una barriera che si contrappone alla tempesta e sono per certo uno strumento di contrasto al disagio sociale. Tuttavia, la maggior parte dei Paesi saheliani sta giocando in difesa in questo momento, stretta all’angolo da gruppi armati di vario tipo che sono andati ad incidere proprio lì dove già prima i governi centrali erano pressoché assenti. Se il Covid-19, come sottolinea l’Unesco, ha creato scompiglio e perturbato i sistemi educativi globali con conseguenze per il 90% dei minori in età scolare, l’instabilità in Burkina Faso – prendendo come esempio uno dei Paesi saheliani che ne sono maggiormente interessati – ha costretto alla chiusura di migliaia di scuole. Solo un anno fa, secondo una stima di Save the Children, erano state 2512 le scuole del Burkina Faso chiuse per mancanza di sicurezza: di conseguenza oltre 350.000 minori erano stati privati della loro istruzione. Da allora la situazione nel Paese non è migliorata. E lo stesso potrebbe dirsi per alcune regioni del Ciad e del Mali.
Tutto questo non può che produrre insicurezza e non può che alimentare fughe e flussi migratori disordinati, che si riversano innanzitutto in Africa e subito dopo verso altre regioni del mondo. “Limitarsi alla lettura dei flussi migratori buttando giù semplicemente dati è riduttivo” sottolinea ancora Haruna. “Occorre contestualizzare e considerare per esempio quanto cruciale sia garantire l’istruzione e costruire sistemi di formazione professionale in grado di far compiere un ulteriore salto di qualità, che è quello dello sviluppo delle competenze”.
Lo sviluppo di competenze professionali per minori dai 14 anni in su è la missione di una società italiana, la De Lorenzo di Rozzano, nel milanese, che dal 1951 opera anche in contesti in via di sviluppo spesso in collaborazione con la Cooperazione italiana, oltre che con altre agenzie di sviluppo e istituzioni locali e internazionali. “Nei Paesi africani c’è piena consapevolezza del valore della formazione professionale e del nesso esistente tra industrializzazione e quindi creazione di valore aggiunto e creazione di posti di lavoro” dice a Oltremare Filippo Prosperi, Business development director di De Lorenzo. “Studiare il territorio, comprendere insieme ai nostri partner le reali esigenze di formazione, fornire macchine e strumentazioni ma sempre di più anche servizi di assistenza che vanno dall’analisi e dalla progettazione al finanziamento: questo è quello che facciamo nei Paesi in cui operiamo” sottolinea Prosperi facendo poi l’esempio del Kenya. “In questo Paese dell’Africa orientale negli ultimi anni c’è stato un afflusso di industrie automobilistiche, così dopo uno studio del territorio e in combinazione con l’operato delle istituzioni locali abbiamo contribuito a creare centri di formazione professionale specialmente dedicati all’automotive”. Stesso discorso in Ghana, dove De Lorenzo ha anche lavorato alla costruzione di cinque scuole, o in Eritrea, dove con la Cooperazione italiana il lavoro ha riguardato altre filiere. “Quello che facciamo – conclude Prosperi – è, anche in collaborazione con istituzioni internazionali come AfDB o Banca Mondiale, costruire percorsi professionali per ragazzi e giovani che possono portarli a diventare tasselli fondamentali di sviluppo, sia come tecnici specializzati con professionalità utili ai sistemi economici locali sia come piccoli imprenditori”. In altre parole, costruire competenze, per favorire lo sviluppo locale, per creare l’ecosistema più adatto all’ingresso di investitori internazionali e imprese, per costruire sviluppo utile ai Paesi in cui si opera ma utile anche al nord del mondo. Costruire antidoti efficaci e concreti contro la povertà e gli estremismi.