Le sfide globali si vincono in Africa. Ecco perché serve più Italia
La sesta edizione dell'Italia Africa Business Week sposa la citazione di Léopold Senghor: “La cultura dovrebbe essere all'inizio e alla fine di ogni processo economico”
Le sfide globali si vincono in Africa. E l’Italia deve puntare allora sul continente, accrescendo la propria capacità di stare in ascolto e di cogliere opportunità. Senza dimenticare la comunicazione: perché serve un’azione di “rebranding”, di ridefinizione della propria immagine. O forse, meglio, della propria “esperienza identitaria”. Parole, spunti di riflessione e proposte al centro dell’Italia Africa Business Week (Iabw), manifestazione internazionale promossa dall’associazione Le Réseau giunta quest’anno alla sesta edizione.
A Roma, al Centro congressi Auditorium Aurelia, si incontrano quasi 700 tra imprenditori, studiosi, rappresentanti istituzionali e attivisti sociali. Ci sono partecipazioni dal Mali e dalla Nigeria, dal Togo e dalla Repubblica democratica del Congo, dallo Zambia al Burkina Faso. A far da ponte le comunità afrodiscendenti d’Italia. Cleophas Adrien Dioma, presidente di Iabw, chiarisce: “L’Africa vuole lavorare con l’Italia e l’Italia farebbe bene a cogliere questa opportunità, puntando anche su tecnologie verdi e trasformazione digitale, settori dove può esprimere eccellenze”. E ancora: “L’impegno è favorire lo sviluppo sostenibile del continente, affinché l’Africa, che ha bisogno di capacità organizzativa, possa fare il salto di qualità”.
La sfida della green and digital transformation è il filo rosso dell’edizione 2022. Ne parla Serge Ekue, presidente della Banca di sviluppo dell’Africa occidentale (Boad), illustrando un piano di investimenti da sei miliardi di dollari. “L’Italia può dare un contributo importante” assicura il manager, in un’intervista con l’agenzia Dire. “È parte di Team Europe insieme con Francia, Germania, Belgio e Banca europea per gli investimenti; e le sue Pmi sono molto simili alle nostre, partner ideali per le capacità di crescita e il trasferimento di tecnologie”. Il richiamo alle piccole e medie imprese è una costante. E a tornare sono anche i nodi della comunicazione. Ekue si rivolge in particolare alle comunità di origine subsahariana residenti all’estero, in Europa e magari in Italia. “Devono essere informate di cosa facciamo, che in Africa qualcosa accade e che si tratta di cose positive” incoraggia il banchiere. “Per questo comunico molto: desidero che le diaspore offrano il loro contributo in ogni modo, o direttamente tornando nel Paese di origine o indirettamente costruendo ponti tra l’Africa e l’Italia”.
L’orizzonte è la collaborazione pubblico-privato. Lo sottolinea Luca Maestripieri, direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), uno degli organismi patrocinatori di Iabw. “Vinceremo le sfide globali solo in Africa” il monito. “Dobbiamo continuare a investire in questi Paesi, coinvolgendo al meglio i soggetti di cooperazione, sia del mondo no profit sia del settore privato: solo così transizione ecologica e lotta al cambiamento climatico possono avere successo”. Che l’area subsahariana sia al centro delle politiche di cooperazione lo confermano i numeri. Ben 11 Paesi prioritari per Aics su 22 si trovano in Africa. E dopo Dakar, Khartoum, Addis Abeba, Tunisi, Nairobi e Maputo, l’Agenzia si prepara ad aprire a inizio 2023 un ufficio a Niamey, in Niger. “E ognuna di queste sedi”, annota Maestripieri, “ha accreditamenti secondari in tanti altri Paesi”. Poi, sulle alleanze necessarie con il profit: “L’Agenzia ha nel suo Dna il coinvolgimento del settore privato nelle attività di cooperazione allo sviluppo, con un’attenzione particolare alle Pmi; quando discutiamo di transizione ecologica o di lotta ai cambiamenti climatici è chiaro che gli obiettivi si possono raggiungere solo coinvolgendo risorse private”. Oltre che di numeri, a Italia Africa Business Week si parla di approccio. Ascoltate Mehret Tewolde Weldemicael, ceo della manifestazione, quando cita il presidente, scrittore e poeta senegalese Léopold Sédar Senghor: “La cultura dovrebbe essere all’inizio e alla fine di ogni processo economico”.
Sulla stessa linea Giuseppe Mistretta, direttore per l’Africa subsahariana presso il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), già ambasciatore in Angola e in Etiopia. Con i Paesi del continente, sottolinea, l’Italia ha “un rapporto istituzionale e di governo ma anche relazioni personali”. Guardando indietro si riscopre allora un ponte che attraversa i secoli e “che ha visto passare missionari, professori e pure qualche diplomatico”. Sono un cerchio che si chiude le parole di Fabrizio Lobasso, vicedirettore in Farnesina per l’Africa subsahariana. L’ambasciatore, in dialogo con Dioma, parla di “rebranding” come di una ridefinizione “non di un marchio ma di una esperienza identitaria”. Il suo è un invito a fare di più, partendo da una constatazione: “È paradossale che l’Italia sia prima in tante cose, come la cooperazione allo sviluppo, gli investimenti nell’energia o le tecnologie, per non parlare della solidarietà e della parte culturale, eppure i dividendi e i risultati che porta a casa sono inversamente proporzionali a quanto fa”. Il rischio è “non essere facilmente riconoscibili” e così “non entrare nel cuore degli amici africani”.
Centrali allora le diaspore, le comunità di origine straniera. In risposta a una domanda del pubblico Lobasso richiama la parola di origine greca “exotopia”, il senso della bellezza nella diversità. E a parlare di rapporti tra Europa e Africa aiuta una citazione di Achille Mbembe, filosofo di origine camerunense: “Per il bene di entrambe dobbiamo rendere sconvenienti le convenienze di entrambe”.
La conclusione del dialogo a Roma, in vista di una settima edizione già in programma a Milano in primavera, è un appello ad alimentare “un flusso continuo tra imprenditori italiani e africani”. Un contributo già all’attivo è la firma da parte di Dioma e di Ekue di un memorandum d’intesa sul progetto Iabw Sustainable Development Platform che mira a creare un’infrastruttura digitale per lo sviluppo di reti tra Pmi di due continenti.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
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