SINCE, la cooperazione delegata in Etiopia con l’Italia
Creare opportunità di lavoro per donne e giovani: questa la priorità di un Paese dai cui equilibri dipende il Corno d’Africa. E questa è anche la priorità di SINCE, il primo progetto del Trust Fund Ue.
Unica donna in un gruppo di soli uomini, Mekia non sembra certo intimorita, anzi, sembra sia lei la leader della squadra di imbianchini formati grazie a un progetto di cooperazione delegata affidato all’Italia.
Il progetto si chiama SINCE, acronimo per Stemming Irregular Migration in Northern and Central Ethiopia, gestito dall’Ambasciata d’Italia ad Addis Abeba, e ha la particolarità di essere il primo progetto in assoluto del Trust Fund dell’Unione Europea lanciato al vertice della Valletta nel novembre del 2015 per affrontare le cause profonde delle migrazioni in Africa.
“Il progetto – racconta Pierpaolo Bergamini che ne è il coordinatore – attraverso la formazione e in collaborazione con diverse realtà locali ha l’obiettivo di creare lavoro e sviluppo economico, con un’attenzione particolare a donne e giovani che vivono in quelle aree in cui maggiore è l’incidenza dei flussi migratori irregolari”. È questo appunto il caso di Mekia. Lei, 30 anni, separata con una bambina a carico e una storia di migrazione irregolare e ritorno in Arabia Saudita, è tra chi ha beneficiato del progetto, intraprendendo prima un periodo di formazione di tre mesi, poi un periodo di apprendistato presso un’azienda che ha in seguito assunto lei e altri quattro giovani per lavorare alla costruzione di un edificio di diversi piani ad Addis Abeba. Mekia e i suoi colleghi provengono da Kebele 6, un quartiere della capitale etiopica che rientra nella categoria delle aree a maggiore incidenza migratoria irregolare.
“Con SINCE abbiamo dato un’alternativa – continua Bergamini – rafforzando le capacità dei centri formativi locali e promuovendo partnership pubblico-private in cluster economici strategici: tessile, lavorazione della pelle, agro-industria, carpenteria metallica, costruzioni”.
Del programma SINCE – che ha a disposizione un budget di 20 milioni di euro per il periodo che va da dicembre 2015 a novembre 2020 – stanno beneficiando 8.400 persone tra giovani, donne e migranti di ritorno; inoltre il progetto ha portato alla creazione di 145 partnership pubblico-private e al coinvolgimento di 328 piccole e medie imprese, 22 amministrazioni locali e 16 piattaforme multi-stakeholder pubblico-privato.
“In estrema sintesi – racconta Bergamini facendo strada nel cantiere dove lavora Mekia – rafforziamo le capacità dei cosiddetti Technical Vocational Training e dei servizi pubblici di impiego, promuoviamo accordi pubblico-privati in filiere produttive strategiche e facilitiamo la creazione di posti di lavoro in cinque aree ad alto tasso migratorio irregolare nelle regioni dell’’Amhara, Oromia, Snnpr e Tigray e nella citta’ di Addis Abeba”.
A fornire assistenza tecnica sono l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido). L’Ilo ha condotto uno studio socio-economico e sta guidando un centro per l’impiego giovanile a Bahir Dar (nella regione Amhara). “L’Unido – spiega invece Ivan Lawrence White, project coordinator della stessa agenzia – ha condotto una ricerca sulle filiere che presentavano le maggiori potenzialità in termini di posti di lavoro e fornisce assistenza nella valutazione dei risultati man mano raggiunti”.
Un vero e proprio lavoro di squadra che per Mekia e gli altri quattro giovani (Temesgen di 21 anni, Georgos di 23 anni, Tesfaun di 24 anni, Musamma di 24 anni) assunti dall’impresa edile etiopica Flinston, ha significato un inizio o un nuovo inizio professionale dopo anni come disoccupati o, nel caso di Mekia, dopo diversi anni trascorsi all’estero. Per l’Italia è uno degli impegni all’interno di una collaborazione ampia e variegata, di spessore significativo, come sottolinea Tiberio Chiari, responsabile dell’ufficio di Addis Abeba dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
“Storicamente – sottolinea Chiari mostrando, su una grande cartina dell’Etiopia che campeggia dietro la sua scrivania, le regioni in cui sono attivi progetti AICS – i settori che vedono la Cooperazione italiana maggiormente impegnata sono quelli sanitario, idrico (water, sanitation and hygiene) e dello sviluppo agricolo e industriale. Ma, in maniera trasversale, la priorità numero uno è proprio la creazione di lavoro”.
Rispetto a dinamiche demografiche imponenti che vedono l’Etiopia come il secondo più popoloso Paese d’Africa con oltre 100 milioni di abitanti e a un processo di urbanizzazione che porterà a un incremento degli abitanti nelle grandi città, il tema della creazione di impiego è di vitale importanza per la tenuta sociale ed economica del Paese.
D’altra parte basta poco per rendersene conto. Da quando il primo ministro Abiy Ahmed è arrivato al potere, nel 2018, grandi e significativi sviluppi sul fronte interno e regionale – apertura alle opposizioni, avvio di riforme economiche, pace con l’Eritrea – hanno fatto il paio con criticità che tuttora possono mettere a rischio la stabilità del Paese. Una prova di questa lettura arriva dagli eventi di cronaca di giugno, cioè l’uccisione del capo dell’esercito, il generale Seare Mekonnen, e del Presidente della regione Amhara, Ambachew Mekonnen, freddato nel corso di una riunione a Bahir Dar in quello che lo stesso Abiy ha definito un tentativo di golpe contro l’amministrazione di uno degli Stati che compongono la federazione etiopica.
Fatti che hanno seguito solo di poche ore una missione di sistema italiana, guidata dalla vice ministra degli Affari Esteri, Emanuela Del Re. Nei suoi incontri ad Addis Abeba, la vice ministra aveva più volte dato merito ad Abiy dei progressi fatti e nel corso di un’intervista rilasciata a InfoAfrica / Africa e Affari, aveva sottolineato l’ambizione dell’Etiopia di non pensare soltanto a se stessa, “ma di rendersi conto che senza interconnessioni sane, serene, e naturalmente senza un contorno di Paesi che si trovano in uno stato di stabilità e appunto di crescita e sviluppo non si può assolutamente pensare a un futuro che possa essere veramente sostenibile”. Un atteggiamento così consapevole, quello di Addis Abeba, che secondo la vice ministra ha consentito di trovare alleati molto forti, tra cui la stessa Italia.
Il Paese – guardando a questi fatti di cronaca e allo stesso tempo al credito guadagnato nell’ultimo anno, senza mettere in secondo piano le varie criticità da risolvere – ha dunque di fronte a sé grandi sfide, dal cui esito dipendono le sorti future non solo locali ma più in generale anche del Corno d’Africa. D’altronde è stato lo stesso primo ministro, spiegando le proprie scelte politiche, a sottolineare come uno sviluppo economico e sociale dell’Etiopia non possa che essere legato al contesto regionale.
“Anche tutti i nostri progetti di sviluppo in una logica esclusivamente etiopica, per quanto grande sia il Paese, non avrebbero speranze di successo” dice a sua volta Tiberio Chiari. “Solo una logica regionale e di apertura regionale – prosegue il titolare della sede AICS di Addis Abeba – può offrire nuovi sbocchi di mercato e aperture commerciali che sono fondamentali. Lungo questa strada, per esempio, l’Etiopia diventerà probabilmente un partner fondamentale del Sud Sudan. Ma anche la Somalia e l’Eritrea hanno solo da guadagnare da una integrazione economica regionale. Un’Etiopia che cresce può portare a una stabilizzazione politica complessiva, a una riduzione dei conflitti”. Così come, al contrario, un’Etiopia in crisi può avere conseguenze negative non soltanto limitate al proprio territorio.
Progetti come il SINCE, quindi, si allineano pienamente alle esigenze di sviluppo del Paese, puntando a consolidare quelle basi da cui dipende la stabilità innanzitutto locale. E l’Italia, che come ha ricordato la vice ministra Del Re in questo percorso sta giocando una parte essenziale, deve continuare a dare il suo contributo, forte anche della via aperta in seno alla cooperazione delegata promossa dall’Unione Europea.
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