Sudan, l’incubatore di start-up dei comboniani di Khartoum
Dopo aver avviato una scuola nel 1929 e una università nel 2001, i missionari comboniani hanno creato un incubatore di imprese per dare un’opportunità a chi è più svantaggiato
Un’oasi di studio, un angolo di Khartoum pensato per trasferire e condividere conoscenza. Questo è il Comboni College of Science & Technology, polo universitario dedicato in particolare alla tecnologia (con corsi in Computer science e Information technology) nato nel 2001 sulla scorta di un’altra esperienza, quella del Comboni College Khartoum, la scuola fondata nella capitale sudanese nel 1929 dagli eredi spirituali di Daniel Comboni (1831-1881), missionario e primo vescovo cattolico della capitale sudanese.
Istruzione e formazione erano, per Daniel Comboni, la chiave che avrebbe aiutato gli africani a rigenerare l’Africa e ancora oggi questo è il motto seguito dai missionari comboniani: nell’ultimo anno l’università ha contato 786 iscritti – il 56% sudanesi, il 31% rifugiati sud sudanesi, il 12% rifugiati di Paesi del Corno d’Africa e dello Yemen – confermando la propria attenzione sui giovani delle classi meno agiate, che vivono nelle periferie e che hanno più difficoltà ad emergere.
Questo particolare mandato è stato ribadito con la creazione, nel 2019, dell’incubatore Comboni innovation and entrepreneurship center (Ciec), un progetto frutto di precedenti esperienze svolte in collaborazione con l’Istituto di ricerca su innovazione e servizi allo sviluppo, un organo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), con l’Università degli studi di Bari Aldo Moro e con la Universitat Politècnica di Valencia.
“Il Ciec ha lo scopo di aumentare le competenze per promuovere non soltanto job seekers ma job creators nell’ambito tecnologico; è di fatto un incubatore pensato per rafforzare la coesione sociale, fornire opportunità ai giovani e alle loro idee, ridurre la disoccupazione” racconta padre Jorge Naranjo Alcaide, direttore generale dell’Università e animatore dell’incubatore, che è invece diretto da Ihab Shoully.
Nella sua ancora breve vita, l’incubatore – che ha goduto del sostegno di alcuni sponsor, in particolare dei giapponesi di Jti e del ministero degli Interni italiano – ha avviato i primi due corsi, coinvolgendo 40 studenti. “La nostra idea – racconta ancora padre Jorge – è di un percorso in tre fasi che abbiamo definito ‘pre-incubation’, ‘incubation’ e ‘acceleration’. È molto semplice, abbiamo un salone che funziona come spazio coworking e due uffici e siamo ovviamente focalizzati su una formazione tecnologica, in collegamento con gli insegnamenti dell’università. Abbiamo incontrato un altro donor che ci consentirà di realizzare un secondo piano con una sala per workshop più grande e altri quattro uffici. Uno di questi potrebbe essere un laboratorio per realizzare prototipi con stampanti 3d”.
La prima fase, di pre-incubazione, prevede la partecipazione di 40 persone (provenienti anche da altre università) motivate a creare una propria start-up e affronta concetti fondamentali per avviare un’impresa come un business model, principi di contabilità, l’uso dei social per sviluppare un business. Nella seconda fase di incubazione, i candidati scelti (una quindicina) devono presentare un canvas model per la loro idea di business. A ognuno viene assegnato un mentor, si identificano dei workshop per integrare la formazione. Alla fine di questa seconda fase si deve arrivare con un’idea prototipata che dà il via alla terza fase in cui si possono sollecitare dei finanziamenti.
Il Ciec non è l’unico incubatore presente a Khartoum: nella capitale sudanese operano anche centri che fanno parte di canali internazionali come ImpactHub e 249 (Orange Corner). Tuttavia, la prima grande differenza riguarda la tipologia di iscritti: gli utenti di ImpactHub e Orange Corner sono in genere giovani sudanesi di classi medio-alte; quelli del Ciec sono soprattutto rifugiati di altri Paesi e tra i sudanesi molti sono sfollati del Darfur o dei Monti Nuba. Gli utenti del Ciec sono infine soprattutto donne (tra il 65 e il 70%), a conferma di una tendenza che vede in generale in Sudan una prevalenza di donne tra gli iscritti universitari.
“Con l’incubatore i giovani sono aiutati a scoprire doni nascosti dei quali forse non erano così consapevoli attraverso workshop nei quali si promuove l’innovazione” dice ancora padre Jorge. “Ha anche contribuito a creare fiducia e consapevolezza nei propri mezzi. E poi, si crea un ecosistema in grado di trasferire know-how e fornire un sostegno tecnico attraverso esperti”.
Secondo il direttore del Ciec, Ihab Shoully, l’incubatore “rappresenta inoltre un’occasione per accedere alle reti di finanziamento e dare in questo modo alle idee vincenti un’opportunità con cui avviare una start-up, creare lavoro e formare alleanze tra persone con competenze diverse”.
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.