Tunisia: agricoltura più impresa sociale e solidale, anche così si batte il Covid-19
La pandemia ha colpito alcuni pilastri tradizionali dell’economia tunisina, ma l’agricoltura ha mostrato resilienza. E ora Aics mette in campo risorse che possono aiutare a modernizzare il comparto e a costruire alleanze con l’Italia. Oltremare ne ha parlato con il titolare uscente dell'ufficio di Tunisi, Flavio Lovisolo
Mancano statistiche e dati attendibili sull’impatto che la pandemia può avere avuto sulla popolazione in Tunisia. Ciò di cui si è più sicuri è l’impatto sulla situazione economica: la pandemia ha limitato tutto il settore del turismo e ha colpito gli scambi commerciali e la produzione industriale a causa dei rallentamenti a livello internazionale, con conseguenze ancora da quantificare sulle piccole e medie imprese. Minori sono stati gli effetti sull’agricoltura. Tale il quadro che emerge da una Tunisia che proprio in queste settimane celebra i dieci anni della Rivoluzione dei gelsomini, con la quale si pose fine all’esperienza politica dell’allora presidente Zine El Abidine Ben Ali. E questo quadro, secondo la Banca Mondiale, si tradurrà per il 2020 in un calo del pil del 9 per cento, con un aumento della disoccupazione intorno al 18 per cento, gli stessi livelli del 2011. È indubbio che la Tunisia abbia avviato un percorso di democrazia dal 2011, anche solo guardando a quello che è successo altrove (Siria, Libia) o alle difficoltà che sta vivendo l’Algeria. È altrettanto indubbio che la Tunisia sia uscita meglio di altri da quel periodo turbolento (si veda anche il riconoscimento all’azione del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino a cui nel 2015 è stato assegnato il Nobel per la pace). “Purtroppo quel processo non è poi continuato in un percorso virtuoso e si è abbastanza impantanato nelle difficoltà e nella mancanza di esperienza democratica, considerando che forse la democrazia è pura libertà ma non è solo quello” racconta a Oltremare Flavio Lovisolo, titolare uscente dell’ufficio di Tunisi dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
Fa riferimento alle irrisolte questioni economiche?
Certo. Anzi, soprattutto. Perché fondamentalmente chi controlla uno status quo che deriva ancora dagli anni di Bourghiba e Ben Ali, non ha nessuna voglia di cambiare, vuole mantenere i suoi privilegi, vuole mantenere una situazione che ha portato grandi benefici a pochi. Ci sono difficoltà su infrastrutture essenziali: il porto di Rades non funziona, ci sono aziende pubbliche in deficit perenne, non si riesce a scardinare un sistema di sussidi iniquo. Ci sono sussidi indiscriminati dove i vantaggi vanno ai ceti più abbienti e non alle famiglie più povere. Servono riforme chieste tra l’altro dalle grandi istituzioni internazionali.
Per un Paese senza grandi risorse naturali come la Tunisia, quale può essere il ruolo della comunità internazionale e di partner storici come Italia e Francia?
Sicuramente c’è un’attenzione politica verso la Tunisia molto particolare, che ha fatto e sta facendo in modo che il Paese sia sostenuto. Lei ha citato Francia e Italia ma aggiungerei anche Germania, Stati Uniti e l’Unione Europea nel suo insieme. E poi tutte le istituzioni finanziarie internazionali. Sono tutti molto interessati a sostenere la Tunisia. Tuttavia la Tunisia ha purtroppo grossi problemi ad assorbire e a gestire la disponibilità finanziaria che deriva da questa attenzione politica. E quindi gli investimenti e i progetti si arenano o procedono con difficoltà.
Eppure non sono mancati i piani anche ambiziosi messi a punto dal governo.
Quando sono arrivato a fine 2016, c’è stata una grande conferenza, Tunisia 2020, per presentare ai Paesi donatori e alle istituzioni un piano di sviluppo che era imperniato più sull’economia che sulla cooperazione allo sviluppo. Questa scelta, guardando a quel momento storico, era comprensibile. Tuttavia bisogna ricordare che la Tunisia è un paese dove accanto a regioni e realtà territoriali assimilabili anche a realtà europee, coesistono aree e sacche di sottosviluppo. Questo fa fatica a essere interpretato da parte delle stesse élite economiche e politiche del Paese, che guardano più alla parte sviluppata che a quella meno sviluppata. Guardando indietro, forse nel 2016 sarebbe stato più auspicabile avere una conferenza che oltre ad avere incentivato gli investimenti e la crescita dal punto di vista economico, avesse prestato attenzione anche agli aspetti sociali e a coloro che stavano rimanendo indietro.
Ci spostiamo sull’azione della Cooperazione italiana?
Nel febbraio del 2017 abbiamo firmato il nuovo protocollo di cooperazione triennale (2017-2020) che si sta chiudendo in questo momento. Era un protocollo per 165 milioni di euro, a cui in seguito si sono aggiunti 20 milioni di euro di Cassa depositi e prestiti e 25 milioni derivanti dalla cancellazione del debito, portando a più di 200 milioni il nostro impegno. I settori di intervento sono stati lo sviluppo economico e la creazione di impiego, l’educazione, lo sviluppo locale e la decentralizzazione. Queste sono un po’ le grandi linee su cui ci siamo mossi e devo dire che in questo triennio, malgrado le difficoltà che si sono avute in Tunisia, siamo riusciti a formulare e a portare al comitato congiunto la quasi totalità di quanto si era programmato. Manca all’appello un fondo di sviluppo regionale che non siamo riusciti a mettere a punto per le diverse visioni con le controparti tunisine per 45 milioni di euro e che stiamo dirottando per rifinanziare la linea di credito per le Pmi attiva già da molti anni.
Quello delle Pmi sembra un tema ricorrente?
La linea di credito alle Pmi ha funzionato molto bene, negli anni ha portato a investimenti per più di 200 milioni di euro, creando più di 10.000 posti di lavoro nuovi e facendo più di 600 operazioni. Abbiamo aperto adesso una nuova linea di credito per il settore agricolo e l’impresa sociale e solidale perché nel frattempo Tunisi ha varato una legge per riconoscere il ruolo e le funzioni delle imprese sociali e solidali. A questi nostri fondi l’Unione Europea ne ha aggiunto di suoi, quindi adesso abbiamo un pacchetto di 100 milioni di euro che potrà essere utilizzato già a partire dal 2021 accompagnando l’economia tunisina in due grossi settori che penso siano fondamentali: la trasformazione e la modernizzazione del settore agricolo, che limita anche l’esodo rurale e quindi lo spostamento di popolazioni verso le zone costiere più ricche. E poi il crescere di un’economia sociale e solidale che potrebbe dare dei servizi che oggi sono fondamentalmente statali e che registrano molte difficoltà.
L’agricoltura può essere un campo di collaborazione aperto anche alle imprese italiane.
Ci sono molte aziende italiane che guardano con attenzione il Paese, anche perché l’agricoltura tunisina è un’agricoltura che fa fatica ad acquisire delle tecnologie e a orientarsi verso prodotti che potrebbero essere complementari sul mercato europeo sfruttando per esempio il sistema di commercializzazione italiano. È concretizzabile una profonda trasformazione e modernizzazione dell’agricoltura lungo percorsi non concorrenziali con quella italiana ma complementari ad essa. Ed è questo un ambito in cui la Cooperazione italiana può sicuramente contribuire, con l’apertura appunto di linee di credito all’agricoltura e al comparto dell’agro-industria.