Un anno di transizione in Sudan, alla ricerca di pane e libertà
A oltre un anno dalla caduta di Omar Hassan al-Bashir, in Sudan si respira la dolce aria della libertà ma la situazione economica molto fragile rappresenta un rischio concreto
Giornali critici nei confronti del governo, nuovi partiti politici e nuovi sindacati, ma anche un governo che promuove reali riforme e fa un inedito sforzo di comunicazione con conferenze stampa aperte al dibattito e alle domande dei cronisti. A un anno dall’avvio della transizione politica, iniziata dopo la caduta dell’ex capo di Stato Omar Hassan al-Bashir, il Sudan sta vivendo un momento esaltante della sua storia e allo stesso tempo una fase davvero delicata in cui il rischio di fare passi indietro è concreto. Basti solo pensare, ultimo episodio in ordine di tempo, all’attentato condotto senza successo lo scorso marzo contro il primo ministro Abdalla Hamdok.
La natura stessa entro cui si è sviluppata la transizione, frutto di un accordo tra componente civile e componente militare, porta insite sfide e nodi che potranno venire al pettine e segnare il prosieguo di questo cammino. Un momento così delicato richiede, secondo diversi osservatori, una fondamentale presa di posizione da parte della comunità internazionale e di attori che possono essere decisivi con le loro scelte. Gli Stati Uniti sono sicuramente uno di questi: fin quando il Sudan resterà nella lista dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo stilata dal Dipartimento di Stato americano, gli investitori stranieri si terranno lontani da Khartoum e qualunque operazione commerciale, benché possibile, continuerà a essere difficoltosa. Non mancano tuttavia i segnali positivi: nell’ultimo anno, i due Paesi hanno alzato – dopo decenni – il livello di rappresentanza diplomatica, con Khartoum che a maggio ha potuto nominare un suo ambasciatore a Washington e ha compiuto diversi passi di avvicinamento in risposta a precise richieste.
Allo stesso tempo, la comunità internazionale sta provando a muoversi per sostenere un piano di riforme avviato dal governo del primo ministro Hamdok. Una data chiave sarà la Conferenza di Berlino (in modalità virtuale) in programma a breve e che vedrà riuniti Sudan, Germania, Unione Europea e Nazioni Unite (come co-host) insieme ai rappresentanti dei Paesi del gruppo “Amici del Sudan”, degli Stati membri dell’Ue, dei Paesi del Golfo, della Turchia, dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Alla conferenza parteciperà l’Italia, che nel Paese è presente da tempo anche con un ufficio dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) e che di recente ha mostrato la sua vicinanza e l’interesse a veder rafforzato il percorso di transizione politico ed economico. Lo scorso marzo, era stata la vice ministra degli Affari esteri, Emanuela Claudia Del Re, a fare tappa a Khartoum ribadendo il sostegno dell’Italia all’istruzione, alla pace, alla stabilità e al benessere del Sudan. Parole espresse in occasione dell’inaugurazione di una nuova ala della Mayo Girls Basic School e ribadite a giugno nel corso di un webinar organizzato dall’Ambasciata italiana a Khartoum (in collaborazione con il mensile economico Africa e Affari, con Confindustria Assafrica & Mediterraneo e con Ice Agenzia) dedicato alle opportunità esistenti per le imprese italiane e combinabili anche con azioni di cooperazione.
“L’Italia ha qui in Sudan delle contiguità e complementarietà storiche” ha detto l’Ambasciatore italiano a Khartoum, Gianluigi Vassallo. “La tragedia del covid che ha coinvolto entrambi i Paesi, ci pone nella condizione di dover costruire e rilanciare un apparato economico e produttivo soprattutto attraverso il perseguimento di partnership. Come detto dalla viceministra Del Re, nessun vero discorso di integrazione si costruisce senza un apporto sostenuto del settore privato”.
Il Sudan di questi mesi è un Paese in movimento. Il percorso di transizione avviato dalla società civile con il concorso di tutte le altre componenti della popolazione è pionieristico e potenzialmente esemplare, ha detto ancora Vassallo: “È in corso uno sforzo di inclusione volto a ridefinire il contratto sociale con la partecipazione di tutti gli attori responsabili della situazione nel Paese. La società civile nelle sue diverse componenti, partiti politici, associazioni professionali, operatori economici, l’apparato militare e perfino i movimenti ribelli, sono chiamati a condensare in un grande patto nazionale il risultato delle discussioni anche dure, anche difficili, di quest’ultimo periodo e di tutto il periodo precedente”.
Tali parole di fatto colgono la delicatezza e allo stesso tempo la straordinarietà del periodo storico che il Sudan sta attraversando. Da una parte c’è una società civile scesa in piazza e capace di raggiungere uno degli obiettivi preposti, ovvero l’avvio di un percorso politico nuovo espresso nell’arrivo al governo del premier Hamdok; dall’altra c’è un apparato militare che ha sì sostenuto il cambiamento ma che rimane ancora legato al passato. Nella capacità o meno di sintetizzare e rendere proficuo per il Paese questo compromesso si può leggere il futuro del Sudan.
Come avvenuto in altri Paesi arabi, dove la cosiddetta stagione delle Primavere portò speranze, passi avanti e giravolte, sarà ancora una volta l’elemento economico a essere determinante. Dalla secessione del Sud Sudan (avvenuta nel 2011), il Paese ha cercato nuove strade per recuperare le perdite delle rimesse petrolifere; ha sviluppato il settore minerario, per esempio, e continuato a puntare sull’agricoltura e sull’allevamento. Ma il fardello del debito (56,3 miliardi di dollari nel 2019), il peso delle sanzioni e l’isolamento internazionale non hanno finora consentito quell’auspicato salto in avanti. Anzi, il Covid-19 ha contribuito a esacerbare un quadro già pesante, l’inflazione è tornata a galoppare e le classi meno agiate ne hanno pagato immediatamente il prezzo.
E poi c’è tutto il capitolo dei conflitti e dei processi di pace: negoziati sono in corso con i diversi gruppi armati che operano nei Monti Nuba (Sud Kordofan), nel Nilo Azzurro e in Darfur. Non sono negoziati facili, dal loro esito dipenderà il tipo di cammino anche istituzionale che il Sudan potrà percorrere. Un altro complesso negoziato – con Egitto ed Etiopia – riguarda infine la diga che Addis Abeba sta costruendo lungo il corso del Nilo azzurro.
La ripresa economica e i processi di pace sono dunque le due grandi sfide che aspettano il Paese e che non hanno un esito scontato. “L’Italia – sottolinea da Khartoum Vincenzo Racalbuto, titolare della locale sede di Aics – sta dando il suo contributo sostenendo iniziative per il rafforzamento della capacità di resilienza in campo agricolo, attivandosi in campo sanitario e promuovendo azioni di inclusione sociale”. La Cooperazione non si è mai fermata, nemmeno durante i mesi del lockdown (tuttora in atto), e i programmi sanitari in particolare stanno andando avanti proprio in un periodo in cui molti ospedali privati hanno preferito chiudere. “Il Sudan sta dimostrando una capacità di resilienza incredibile” conclude Racalbuto “e ha delle potenzialità enormi che se innescate potranno aprire a un futuro più prospero”.
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.