Un Centro per il Clima e per l’Africa perché lì è in gioco il futuro del pianeta
Creato su iniziativa dell’Italia, l’Africa Centre for Climate and Sustainable Development è un punto di riferimento contro i cambiamenti climatici
Quello appena passato è stato il giugno più caldo di sempre sul nostro pianeta. Almeno da quando si è soliti registrare le temperature. A riferirlo è stato qualche settimana fa il National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), agenzia scientifica che fa capo al Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti e che si occupa delle condizioni degli oceani, dei principali corsi d’acqua e dell’atmosfera.
Secondo le statistiche rese note dal Noaa, la temperatura media globale a giugno è stata di 16,4 gradi. A far crescere la media sono state, in particolare, le temperature raggiunte in alcune regioni europee, in Russia, in Canada ed in Sudamerica.
Un campanello d’allarme, quello del Noaa, soprattutto se si considera che nove dei dieci mesi di giugno più caldi della recente storia (ovvero del periodo compreso tra il 1880 e il 2019) si sono avuti negli ultimi nove anni.
È evidente poi come i cambiamenti climatici in corso abbiano effetti diversi a seconda delle zone interessate e degli strumenti a disposizione dei vari Stati. Considerando che l’Africa è un continente che mostra grande sete di sviluppo e che in questa sua corsa al cambiamento può muovere numeri elevatissimi, in termini sia positivi che negativi, proprio sull’Africa si è sentita la necessità di creare un centro specifico dedicato al clima che ha visto impegnati in prima fila l’Italia, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) e la Fao.
Di fatto, il Centro è nato durante la presidenza italiana del G7 (2017) proprio perché “l’Africa era una delle priorità di quella presidenza ed è una delle priorità politiche ed economiche da sempre della Cooperazione Italiana” sottolinea Pier Carlo Sandei, coordinatore di quello che è stato poi chiamato Africa Centre for Climate and Sustainable Development.
Dottor Sandei, quanto questi due termini, clima e sviluppo sostenibile, sono collegati?
Sono la stessa cosa. In Africa in particolare. Perché sia l’adattamento che la mitigazione sono la chiave dello sviluppo sostenibile. Tutta l’Africa oggi consuma la stessa elettricità dello Stato di New York, quindi se si vuole fare sviluppo sostenibile in Africa lo si deve fare con fonti energetiche rinnovabili, ed energie rinnovabili vuol dire anche mitigazione climatica. Se si guarda anche all’Accordo di Parigi è evidente come tra le due cose non esista separazione. In Africa questo connubio è a maggior ragione importante perché l’Africa sta crescendo e la crescita può essere solo sostenibile affinché le esternalità negative non mettano a rischio la crescita.
Lei fa riferimento alla conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, in cui 195 Paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. L’accordo definisce un piano d’azione globale, inteso a rimettere il mondo sulla buona strada per evitare cambiamenti climatici pericolosi limitando il riscaldamento globale.
A fronte di crescita demografica, processi di urbanizzazione, esigenze di sviluppo, ovvero di macro tendenze in atto in Africa oggi, ci deve assolutamente essere una cornice di sostenibilità. E la sfida di Parigi la si vince o la si perde in Africa. È solo limitando la possibile crescita di emissioni del continente africano che si può garantire il rispetto degli accordi maturati a Parigi. Perché se tutte le altre regioni del mondo riducono le emissioni e l’Africa – che ha altre esigenze di crescita e proporzioni – non riesce nella stessa impresa, allora salta il banco.
Una delle critiche mosse dai Paesi africani riguarda i Paesi industrializzati, i quali non hanno rispettato vincoli e divieti che invece adesso si chiede di rispettare a chi vuole imboccare una strada di sviluppo industriale.
Sì, c’è una questione di giustizia, è vero. È altrettanto vero però che non si deve ripetere tutto, inclusi gli errori degli altri. È giusto ripetere un percorso di sviluppo e nessuno vuole limitare questo. Quello che si dice è: ‘fallo nella maniera giusta visto che gli altri lo hanno fatto nella maniera sbagliata’. È come se oggi uno costruisse con l’amianto tralasciando il fatto che ora si sa che è cancerogeno.
È la stessa logica: è vero che costruire con l’amianto costa meno, ma è anche vero che adesso se ne conoscono gli effetti negativi, superiori a qualunque tipo di risparmio economico. Nessuno dice all’Africa di non svilupparsi. Anzi, è interesse di tutti che l’Africa si sviluppi, per una questione di giustizia, per una questione di benessere e di sostenibilità globale.
Oltretutto ripetere gli errori del passato non ha neanche un senso economico.
Cioè?
C’è per esempio un rapporto di Irena (l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili), secondo cui, oggi, in molti Stati ed in molte situazioni, costa meno non solo costruire un impianto solare di per sé, ma addirittura costruire un nuovo impianto solare che far continuare a funzionare un esistente impianto a carbone. Non c’è nemmeno bisogno di scegliere tra auto nuova e usata, perché mi costa meno la nuova macchina elettrica rispetto alla mia attuale macchina.
In sintesi, non c’è nemmeno bisogno di fare sacrifici per l’ambiente perché costa addirittura meno. Quindi non soltanto è una scelta giusta ma è anche una scelta economicamente vantaggiosa e con tempi di realizzazione molto bassi.
Le tecnologie quindi possono essere una risposta a questa esigenza africana di sviluppo.
La tecnologia attuale è la risposta e l’energia rinnovabile è, al momento, una scelta giusta per l’ambiente e per il portafoglio. E quindi è incomprensibile l’atteggiamento di chi voglia fare una scelta diversa.
Perché ci sia uno sviluppo sostenibile sembrano necessari alcuni elementi cardine: un contributo della comunità internazionale (regolamenti, capacity building) ed un contributo del settore privato, che, per esempio, nelle rinnovabili è protagonista.
Il settore privato deve essere protagonista e non c’è nulla di male che faccia profitti portando sviluppo. Quello che è il contributo della comunità internazionale in realtà è uno degli scopi del Centro: ridurre il gap tra fondi disponibili e fondi utilizzati. I fondi ci sono, il problema è spesso riuscire a sbloccarli. Bisogna facilitare l’accesso a questi fondi che già esistono.
Un termine che agganciamo spesso alla parola sviluppo è sicurezza.
Se c’è sviluppo c’è sicurezza. Si veda il caso del Sahel, dove le Nazioni Unite hanno fatto una scelta precisa implementando le attività di peacekeeping con attività di sviluppo. Allo stesso tempo, il messaggio del nostro Centro è chiaro: l’Africa è il continente delle opportunità. L’aumento demografico è un’opportunità di crescita economica; le esigenze in termini di sviluppo sono l’opportunità per applicare le nuove tecnologie e, per le imprese, un’opportunità per incrementare le proprie attività.
Parliamo però pur sempre di sfide. È esagerato dire che dall’esito di queste sfide dipendono le sorti del resto del mondo?
Che lo sviluppo sostenibile dell’Africa sia essenziale per il benessere del mondo è evidente. Se l’Africa dovesse svilupparsi puntando su centrali a carbone o diesel invece di utilizzare le rinnovabili, sarebbe un problema per il clima di tutto il pianeta. Le conseguenze naturali e climatiche dello sviluppo africano hanno impatto globale, ecco perché la sfida la si vince o la si perde in Africa.