Una finanza sostenibile ed etica per un cambio di paradigma
Quanti soldi servirebbero ogni anno per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda 2030? Più o meno 3,7 triliardi di dollari… troppi per qualunque governo. E allora occorre trovare strade nuove che portino al privato e alla capacità di misurare l’impatto delle azioni di sviluppo
Quanti soldi servirebbero ogni anno per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda 2030? Più o meno 3,7 triliardi di dollari, 4,2 secondo alcune stime. Fino a un paio di anni fa i dollari necessari ogni anno sarebbero stati in realtà 2,5 triliardi, ma Covid-19 prima e conflitto in Ucraina poi hanno spinto l’asticella più su. In tutti i casi si tratta comunque di cifre che vanno ben oltre gli aiuti pubblici che i vari governi possono mettere in campo e questo spinge a trovare soluzioni alternative. Per la cooperazione si tratta di un tema di particolare rilievo e, non a caso, è stato al centro di un side event organizzato da Aics lo scorso 23 giugno a Coopera, la Conferenza nazionale della Cooperazione allo sviluppo. A dare la misura di come la strada da percorrere sia ancora molto lunga ci ha pensato Priscilla Boiardi, policy analyst dell’Ocse, quando ha ricordato che, se il gap è quello indicato, i fondi destinati allo sviluppo tra il 2012 e il 2020 sono stati 300 miliardi di dollari.
La questione è quindi molto chiara, ha anticipato in apertura dell’evento Leonardo Carmenati, vice direttore tecnico dell’Aics: come chiudere il gap, fare un salto significativo e recuperare quelle risorse che ogni anno servono (e mancano) per raggiungere gli obiettivi che la comunità internazionale ha concordato nell’Agenda 2030. Un interrogativo reso più stringente dalle ripercussioni che grandi sfide globali come quelle del clima, della crisi economica, della pandemia e della stabilità stanno già producendo.
In una sua nota, “Closing the SDG Financing Gap in the COVID-19 era”, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse), sottolinea che per trovare i fondi necessari occorre avere un approccio olistico che promuova finanza e investimenti in un’ottica di lungo termine e di sostenibilità. In altre parole, nessuno strumento esistente preso da solo potrà essere sufficiente per colmare questo divario. Occorre rivolgersi al settore privato mantenendo il focus sull’obiettivo, ha sottolineato Priscilla Boiardi, ovvero mobilitare risorse per il pianeta e le persone: “Gli strumenti ci sono, il problema è disegnarli”.
Boiardi è andata anche oltre, facendo gli esempi di due di questi strumenti: i fondi di garanzia e le obbligazioni verdi sociali. I fondi di garanzia sono polizze assicurative su investimenti in sviluppo che consentono di ridurre i rischi e quindi di coinvolgere attori “pesanti” come i fondi pensione. Le obbligazioni verdi sociali legate alla sostenibilità sono invece legate al variegato mondo green, stanno prendendo piede in Europa e consentono di ingaggiare gli investitori istituzionali. In tutti e due i casi, si tratta di strumenti complessi che richiedono competenze molto specializzate da coinvolgere nel mondo della cooperazione. Solo così sarà possibile disegnare strumenti che rispondano allo stesso tempo agli obiettivi di sviluppo e agli obiettivi degli investitori.
Legato al tema della finanza è quello dell’impatto. Alla quantità dell’investimento deve corrispondere la possibilità di misurare l’impatto che produce l’azione su cui l’investimento viene fatto. E, come ha detto Mara Airoldi dell’università di Oxford, economista e direttrice della Government Outcomes Lab, non c’è nemmeno la necessità di partire da zero, dal momento che ci sono già delle esperienze a cui ci si può ispirare per creare strumenti come i Social Impact Bond; e ci sono banche dati con informazioni utili per non ripetere errori e imboccare strade con più possibilità di successo.
Che misurare sia un’azione tutt’altro che semplice lo ha specificato Luigi Corvo, ricercatore dell’Università degli studi di Milano – Bicocca e fondatore di Open Impact: è importante stabilire cosa misurare e, allo stesso tempo, non disperdere risorse nella misurazione: “Dobbiamo far sì – ha detto Corvo – che le risorse disponibili vadano lì dove servono. Questo è ovvio, ma è un’ovvietà difficile da realizzare”. Secondo Corvo occorre connettere i flussi finanziari ai flussi di impatto, scordandosi il “fondo perduto” e lavorando invece sul tempo degli investimenti come scelta multidimensionale.
Spunti di riflessione che hanno già trovato campi di applicazione in Italia, con Fondazione Opes, o su cui si stanno muovendo realtà nuove come il Fondo Talisman, entrambi al centro di una tavola rotonda seguita al side event di Aics. Opes, ha sottolineato Elena Casolari, membro del board della Fondazione, supporta lo sviluppo di imprese che si propongono di ottenere un impatto sociale significativo e durevole attraverso l’adozione di modelli operativi economicamente sostenibili. Talisman, ha spiegato Vincenzo Ercole che del fondo è uno dei promotori, è invece partita dai gap visti in Africa e ha ottenuto importanti impegni di finanziamento nello stesso continente africano. L’impressione, ascoltando anche le parole di Giulio Pasi (Commissione europea – Joint Research Center), è che ci siano complessità ma anche strumenti con potenzialità ancora da esplorare. Per l’Italia, come ha detto poi Marina Piccioni di Cassa depositi e prestiti (Cdp), c’è un attore importare – Cassa appunto – che la legge di riforma del 2014 ha legato al mondo della cooperazione e che è un’istituzione naturalmente portata alla finanza sostenibile e a essere un pivot al servizio dello sviluppo.
Al di là delle considerazioni tecniche, a ben vedere la finanza di impatto rappresenta sì un passo dimensionale, ma anche e soprattutto un passaggio culturale, ha sottolineato Emilio Ciarlo, il responsabile per i rapporti istituzionali e la comunicazione dell’Aics: “Un passaggio molto importante perché vuol dire rivedere l’economia e pensare che anche la Cooperazione è una componente di sviluppo economico. Significa ripensare i nostri progetti e le nostre iniziative, misurandone l’impatto e rendendole sostenibili con criteri di economia”. In definitiva, ha concluso Ciarlo, significa allontanarsi dal concetto del fondo perduto “per entrare in una dimensione veramente differente, la stessa che sta abbracciando il resto del mondo, rivedendo i paradigmi dell’economia”.
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.