Sicurezza Alimentare, perché è importante non distogliere l’attenzione
A livello globale, circa 124 milioni di persone soffrono di fame acuta, mentre 151 milioni di bambini sono affetti da arresto della crescita e cinquantuno milioni da deperimento. Contemporaneamente sprechiamo 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, mentre 2 miliardi di persone sono sovrappeso o obese. Credo che queste cifre vadano costantemente tenute in mente, anche se la situazione globale va migliorando. Il miglioramento degli indici per lo sviluppo sostenibile non deve essere dato per assodato. Violenza, instabilità politica, guerre possono resettare importanti risultati ottenuti nella lotta alla fame, nel miglioramento della sicurezza alimentare e nella sfida della produzione agricola globale sostenibile. Lo racconta bene Umberto De Giovannangeli nel suo nuovo focus per Oltremare di Novembre sullo Yemen. «Milioni di bambini e famiglie in Yemen potrebbero presto rimanere senza cibo, acqua pulita o servizi igienico sanitari a causa della profonda crisi economica e delle violenze incessanti», scrive De Giovannangeli. La guerra in Yemen, così come il conflitto in Siria ci raccontano che per un passo in avanti per raggiungere l’obiettivo Fame Zero, una nuova crisi umanitaria e geopolitica può comportarne svariati indietro.
Nel mio articolo sulla situazione alimentare in Myanmar racconto la stretta interconnessione tra cambiamento climatico, foreste e sicurezza alimentare. Il peggioramento delle condizioni ambientali globali, che potrebbero subire un’accelerazione nei prossimi anni a causa della distruzione della biodiversità, della deforestazione e dell’inazione nei confronti del cambiamento climatico, contribuiranno ad un peggioramento della food security a livello globale, specie nelle zone politicamente instabili.
I numeri sono da tenere ben presenti, ci spiega Vincenzo Giardina presentando l’ultimo Global Hunger Index Report, presentato a Milano dalla ONG CESVI. E’ utile avere ben chiara la mappa delle aree maggiormente a rischio. Le criticità maggiori si concentrano in Asia meridionale e Africa subsahariana. Particolarmente colpiti Zimbabwe, Somalia, Ciad e Repubblica Centrafricana (12,4%), l’unico Paese con livello di fame “estremamente allarmante”.
Sempre Giardina ci ricorda che ci sono strategie di cooperazione allo sviluppo che però possono contribuire a rendere resiliente la produzione alimentare, anche nei contesti più esposti a crisi umanitarie, geopolitiche o ambientali.
Un bell’esempio di buone pratiche è presentato da Gianfranco Belgrano che si è recato Ouagadougou, in Burkina Faso, il 5 e il 6 ottobre scorsi, durante la quinta edizione del Rebranding Africa Forum. Serve una chiave di lettura davvero africana per creare un’economia verde, attenta alla crescita nel rispetto dell’ambiente. In particolare legato alle pratiche agricole. Innanzitutto limitando l’export di materie prime grezze, e investendo nell’industrializzazione “green” di vari settori direttamente in Africa. Per il presidente ghanese Nana Addo Dankwa Akufo-Addo Akufo-« è arrivato il tempo di trasformare le nostre economie, di rapportarci in maniera diversa con il resto del mondo, di rafforzare l’istruzione dei nostri giovani, le competenze, di lavorare all’eguaglianza sociale preservando al tempo stesso la natura dei nostri meravigliosi Paesi». Una nuova rivoluzione verde (davvero sostenibile) è in arrivo?