di Emilio Ciarlo, Direttore Editoriale
“And now I know that we must lift the sail
and catch the winds of destiny
wherever they drive the boat.”
(E. L. Master)
Nel mondo di prima, prima della Grande crisi del 2008, lo sviluppo sembrava aver inserito il pilota automatico. La crescita del Pil mondiale viaggiava da qualche anno attorno al 4%, Freedom house festeggiava i numeri record delle democrazie elettorali (123 nel 2006), i conflitti diminuivano, i Paesi parevano veramente “in via di sviluppo”, sostenuti dalla forza della globalizzazione e della internazionalizzazione dei mercati che già si incaricavano di riequilibrare, allora pareva dolcemente, il peso politico ed economico dei vari continenti, distribuendo meglio le possibilità di crescita. Gli stessi aiuti allo sviluppo, in quel contesto favorevole, potevano calare e lo fecero: dal picco dello 0,320 nel 2005 negli anni successivi ci si riassestò attorno alla percentuale dello 0,30%.
I paesi sviluppati che escono dalla grande crisi, più loro che mondiale, si trovano ora uno scenario diverso. Non tanto nei dati economici quanto per il mutato “spirito del tempo”. Le democrazie sono in difficoltà, la loro leadership è gravemente in discussione e con essa i valori del mondo pre-crisi: la globalizzazione dei diritti, l’autorevolezza delle istituzioni globali, la promozione della pace. La paura ha preso il sopravvento e con essa le sue peggiori ancelle: l’egoismo e la rabbia.
Lo sviluppo ha disinserito il pilota automatico: la conversione ad una economia ambientalmente sostenibile è lontana da venire, anzi l’idea stessa viene contestata, la tecnologia ha effetti controversi sullo sviluppo e la possibilità di una “crescita senza lavoro”, specie in Africa, è un problema reale, le diseguaglianze crescono, anche all’interno delle società più ricche, nel 2016 il numero di persone denutrite è tornato a crescere per la prima volta da 15 anni, 258 milioni di persone sono costrette a lasciare i propri Paesi (+49% rispetto al 2000) determinando instabilità nei Paesi di destinazione e depauperamento delle risorse in quelli di origine.
Ora occorre tornare a pensare alla rotta. Non ce la troviamo più tracciata davanti a noi.
Anche per questo nasce “Oltremare”, un Blogazine che ha l’aspirazione di divenire per l’Italia il luogo del dibattito e delle idee sullo sviluppo internazionale. La scelta del termine “Oltremare” rappresenta un invito ad andare oltre le paure e le chiusure, a tornare alla curiosità e all’apertura dei primi esploratori, a ricordare una storia lunga di viaggi e incontri con le altre culture – che portò nel primo ‘900 alla creazione di quell’Istituto Agronomico d’Oltremare che oggi ospita la sede dell’Agenzia a Firenze – a parlare di nuovo di solidarietà internazionale e prosperità condivisa.
Lo faremo, cercando di coinvolgere intellettuali, mondo universitario, società civile, giornalisti, cooperanti sul campo, esperti delle organizzazioni internazionali attorno ai nostri temi: la riduzione della povertà e delle diseguaglianze, la tutela dei diritti umani, la prevenzione dei conflitti e la promozione della pace.
Lo faremo attorno alle quattro sezioni di questo nostro Blogazine e che riassumono i quattro punti cardinali dell’Agenda 2030: Persone, Prosperità, Pianeta e Pace.
Ci sarà spazio per presentare le iniziative e i progetti dell’Agenzia italiana per la cooperazione internazionale, per i contributi delle nostre sedi, le testimonianze di chi lavora con noi, le interviste per le personalità italiane e straniere. Cercheremo soprattutto di pensare, approfondire e portare l’Italia nella conversazione internazionale sullo sviluppo, dando una forma e una forza al concetto e allo stile della cooperazione italiana, fatta di creatori più che di pianificatori, di incontro più che di enormi flussi finanziari.
In questo numero abbiamo scelto di partire con “il” tema di questi mesi: lo sviluppo è sicurezza.
L’argomento si presta a diversi spunti di riflessione. Innanzitutto presenta una motivazione dell’azione di cooperazione differente da quella tradizionale (lo sviluppo è solidarietà) o dall’approccio più recente (lo sviluppo è co-sviluppo, quindi opportunità).
Si tratta di un taglio più politico che viene utilizzato per suscitare consenso in una società oramai poco incline all’“internazionalismo” ma che deve evitare di far perno esclusivamente sulla “sicurezza propria”, sulle paure del “nostro” mondo, e riuscire almeno a comunicare l’idea di un mondo interconnesso e comune che non può né esser chiuso fuori dai confini. Sono temi trattati nella bella intervista di Umberto Di Giovannangeli a Emma Bonino, interlocutrice preziosa per la sua esperienza da commissario europeo e da Ministro degli Esteri.
VI è poi la necessità di spiegare quali azioni concrete si mettono in campo per promuovere da un lato lo sviluppo umano che promuove la tutela e la dignità delle persone ( se ne occupa Vincenzo Giardina con la particolare attenzione ai diritti umani e ai fenomeni sociali ) e, dall’altro, lo sviluppo economico che porta alla prosperità (se ne occupa Gianfranco Belgrano che di imprese in Africa scrive quotidianamente) e quanto queste siano collegate, complementari ma diverse da quelle “securitarie” classiche (formazione delle forze di polizia, controllo del territorio, miglioramento della dotazione strumentale). Di dire quanto oggi le crisi e i conflitti producano povertà, quanto il cambiamento climatico causi disastri ambientali o inaridisca i terreni provocando centinaia di migliaia di migranti ambientali (se ne occupa Emanuele Bompan che segue il dibattito internazionale sulla sostenibilità ambientale del pianeta.
Infine dire “sviluppo è sicurezza” significa affrontare il dilemma di sempre dell’internazionalismo democratico: sporcarsi le mani, cercare di dialogare con regimi e personaggi ambigui in situazioni non “politicamente corrette” per influenzare il corso delle cose oppure denunciare violazione di diritti, inaffidabilità degli interlocutori, reati e oppressioni in una azione che può rivelarsi tanto nobile quanto sterile? E’ un dibattito difficile e legittimo, in cui ragioni e torti si confondono ma che tutti noi dobbiamo riprendere e portare avanti se vogliamo che il nostro mondo torni a cambiare per il meglio.