Redazionale luglio-agosto
Turismo editoriale
Il turismo genera posti di lavoro, ricchezza, anzi è un efficace strumento di ridistribuzione della ricchezza, stimola lo sviluppo di infrastrutture e di servizi, svolge una funzione di dialogo, confronto e conoscenza reciproca tra chi arriva come turista e chi in quel posto ci vive. Elementi validi dappertutto che acquistano più valore nei Paesi in via di sviluppo perché più rilevante può essere in questi Paesi il peso esercitato all’interno di economie locali povere.
Eppure, proprio le modalità di funzionamento e le variabili che ne regolano le dinamiche rendono questo settore volatile. Di una volatilità che può far male, che si può trascinare per anni e che ha effetti immediati sul benessere di intere comunità. Evidente è la fotografia di Paesi come l’Egitto o la Tunisia, dove gli eventi seguiti alle cosiddette Primavere arabe hanno azzerato per più anni gli ingressi turistici e di conseguenza i posti di lavoro a essi collegati. Contemporaneamente però, quegli stessi Paesi hanno dimostrato una pronta volontà a far ripartire la macchina, allargando magari gli orizzonti (alla Tunisia un grosso aiuto è arrivato dall’incremento dei turisti algerini e russi), lanciando campagne di sensibilizzazione, provando a migliorare gli standard qualitativi.
La sfida è grande e aperta. Il turismo è simbolo di ricchezza, ma è anche un potente simbolo di incontro e dialogo tra culture a volte molto diverse tra loro; che per questo motivo può attrarre chi agisce nel senso opposto. Come scrive Umberto De Giovannangeli, in questa uscita di agosto di Oltremare dedicata al turismo, in alcune zone del mondo la furia distruttrice di gruppi estremisti si è abbattuta oltre che sugli uomini anche sul patrimonio culturale ovvero su un patrimonio che è dell’umanità tutta. Colpire i turisti e i luoghi d’arte diventa un modo per affossare delle economie e allo stesso tempo far passare un messaggio di distruzione che diventa di immediata risonanza mediatica. Cancellare la memoria per azzerare la cultura, strumento e scudo di cui si sente la potenza e il bisogno come non mai.
Cercare le responsabilità deve però essere un esercizio che non si può fermare all’ovvio e all’evidente, o a quello che magari fa meno male rinfacciarsi. Dietro un gruppo estremista armato, si possono nascondere progetti politici, commerci lucrosi, insospettabili mandanti. È vendendo infatti armi, si chiede Vanessa Redgrave, nell’intervista firmata da Vincenzo Giardina, che l’Europa pensa di portare il proprio aiuto allo sviluppo? Dopo una carriera premiata anche con un oscar, superati gli 80 anni, l’attrice britannica ha esordito come regista occupandosi di Mediterraneo e rifugiati con un documentario, Sea Sorrow, che prova anche a suggerire analogie tra il nostro tempo e l’Europa nazifascista della Seconda guerra mondiale: “Non ci può essere speranza di democrazia – sottolinea Redgrave invitando a dare una scorsa alla lista dei Paesi che vendono armi – se si lasciano morire le persone in mare, nel deserto, sotto i missili, le bombe o i colpi dei cecchini”.
E continuando a esplorare questioni meno facili e ovvie, con Emanuele Bompan si arriva a un altro patrimonio che, questa volta, è il turismo che può mettere a rischio: la biodiversità. Il turismo, è innegabile, ha un impatto rilevante sull’ambiente – si pensi solo alle emissioni di gas serra che i voli aerei contribuiscono ad alimentare – e appare dunque indispensabile far crescere un turismo che sia sempre più attento, responsabile ed ecosostenibile.
Ma nonostante tutti i distinguo e le dovute precauzioni – sul “Viaggiare Sicuri” si legga l’intervista di Ivana Tamai a Stefano Verrecchia, capo dell’Unità di crisi alla Farnesina – non bisognerebbe mai dimenticare che il turismo è uno strumento eccezionale di cooperazione. Cooperazione economica, ma anche culturale. Se le ampie ricadute economiche del turismo sono chiare a tutti, dall’artigianato tradizionale al vitto consumato localmente, a volte meno chiaro appare come, e penso soprattutto a una serie di Paesi africani, l’economia generata dal turismo abbia un impatto immediato e migliorativo sulle condizioni di vita delle comunità circostanti le località di visita. Proprio pensando a questi stessi Paesi africani, mi viene in mente come, in un momento così delicato come quello che stiamo vivendo in Italia riguardo alla narrativa che circonda l’Africa e gli africani, il turismo possa anche diventare uno strumento potentissimo di cooperazione culturale che potrebbe consentire a molti italiani di imparare a conoscere, apprezzare e magari difendere culture e popolazioni ancora troppo spesso condannate dai peggiori stereotipi che solo l’ignoranza è in grado di alimentare.