Non lasciamo indietro nessuno. È un impegno europeo
Costruire un mondo dove nessuno sia lasciato indietro: è l’impegno assunto a Bruxelles, durante gli European Development Days. Con 40mila presenze da 154 Paesi, capi di Stato e di governo, 4.500 organizzazioni e sette Premi Nobel.
Il titolo dell’edizione 2019 era Addressing Inequalities: Building a World Which Leaves No One Behind. Come dire: ci vuole inclusione, altrimenti non andiamo da nessuna parte. Come fare? Un suggerimento lo ha dato Stefano Manservisi, dal 2016 alla guida della direzione della Commissione europea per la cooperazione internazionale. “Serve un approccio un po’ più adulto con i Paesi in via di sviluppo” ha avvertito in un’intervista, citata in questo numero di Oltremare. Tra le parole chiave “responsabilità reciproche” e “partnership”. A partire da quella con gli africani: “Hanno capito che l’Ue guarda all’Africa non come a un continente di poveri che devono essere inondati di fondi ma come a un continente di popoli coscienti di sé stessi, della propria forza e delle proprie debolezze”.
La cooperazione, sembra di capire, non può essere più riassunta dal binomio donatore-beneficiario. Bisogna fare e si sta già facendo un passo ulteriore, come ha sottolineato a più riprese nell’ultimo anno la viceministra degli Esteri italiana Emanuela Claudia Del Re, parlando di “relazione win-win” e “vantaggi reciproci”. Come dire, ancora: teniamo dentro tutti, non dimentichiamo nessuno. In questo Oltremare è l’orizzonte (europeo) che ritorna. Si parla di cambiamenti climatici, con ritiri di ghiacciai, stress idrico, rischi e sfide che l’Ue è chiamata a combattere fin nel cuore dell’Asia, in Tagikistan, Kazakistan o Uzbekistan. Mentre a Bruxelles si ultimava la preparazione degli stand degli European Development Days, nella capitale turca Ankara è stata celebrata la Giornata mondiale contro la desertificazione. Secondo il mauritano Ibrahim Thiaw, segretario della Convenzione Onu che ha il compito di arrestarla raggiungendo l’obiettivo della “land neutrality degradation”, una gestione disattenta o errata dei terreni ha causato negli anni l’impoverimento di un’area con un’estensione pari a due volte la Cina. Ma il rischio non è solo ambientale: se non si agisce subito e con determinazione, è la desertificazione sociale.
Un timore al centro di progetti europei, sostenuti, partecipati e attuati anche dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). Con una particolarità: l’impegno al fianco delle donne. Prendete Mekia, nata e cresciuta a Kebele, uno dei quartieri della capitale etiope Addis Abeba a maggior incidenza migratoria. L’abbiamo incontrata, mentre guidava nient’affatto intimorita una squadra di imbianchini uomini formati grazie al programma Since, il primo finanziato dal Fondo fiduciario Ue istituito con l’obiettivo di contrastare le cause delle migrazioni “irregolari”. Trent’anni, separata, con una bimba a carico e una storia di sfruttamento in Arabia Saudita, Mekia ha beneficiato di un corso di formazione di tre mesi ed è stata assunta in azienda. La sua storia, come quella di tante giovani, conferma che il lavoro è la vera alternativa alle partenze. A Oltremare lo ha detto anche Coulibaly Kadidia, artigiana ivoriana, uno dei volti degli European Development Days. A Bruxelles è arrivata grazie al sostegno dell’Ue e della fondazione italiana Avsi, che nel suo Paese di origine sta attuando un programma di formazione e assistenza sia sul piano degli strumenti di produzione che su quello amministrativo e legale. “Non sono arrivata in Europa come emigrante ma per mostrare le meraviglie che le donne mangoro sanno creare” ha spiegato Coulibaly. “Riusciamo a produrre il doppio dei vasi, riducendo tempi e fatica, e abbiamo frequentato corsi di amministrazione e contabilità, imparando a gestire i nostri guadagni con gruppi di risparmio e prestito”. Il progetto di Avsi ha coinvolto circa 5mila artigiani, con un focus specifico su donne e pazienti sieropositivi. Appunto: non lasciare nessuno indietro.
L’impegno è lo stesso di Sandra Ajaja, 23 anni, nigeriana, uno dei 15 “young leader” selezionati da 404 candidati provenienti da 99 Paesi per discutere a Bruxelles di lotta alle disuguaglianze e di sviluppo sostenibile. Con la sua organizzazione, Fempower Africa, sostiene startup al femminile con corsi in nuove tecnologie informatiche e strumenti finanziari. Sandra sottolinea le potenzialità dei progetti dell’Ue, come la European Union Initiative for Financial Inclusion (Euifi), che con una dotazione di un miliardo e mezzo di euro potrebbe sostenere fino a 200mila piccole e medie imprese nei Paesi poveri ed emergenti attraverso il microcredito. L’assunto, però, è che per uno sviluppo sostenibile ci vuole anche altro. “I Paesi africani hanno bisogno di aumentare le loro entrate fiscali” ha avvertito Sandra. “Perché questo sia possibile la comunità internazionale deve fare di più per combattere l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro e i flussi finanziari illeciti”. Per capirlo basta sfogliare l’ultimo rapporto di Global Financial Integrity, istituto specializzato con sede a Washington: solo il meccanismo del “trade misinvoicing”, il commercio fantasma utilizzato per nascondere la fuga di capitali, si mangia il 18 per cento del valore degli scambi tra Paesi “in via di sviluppo” e le economie più avanzate.