La variabile africana: il lato oscuro della Green Economy
Il 70% del cobalto, il minerale utilizzato per le batterie delle auto elettriche, viene oggi dalla Repubblica Democratica del Congo, da miniere artigianali dove si stima che 100.000 persone, tra i quali anche minori, scavino a mani nude o con strumenti rudimentali.
“Un rendiconto di una sorta di riscoperta dell’Africa. Oggi in Africa ci sono tutti: oltre alle vecchie potenze coloniali, nuovi Paesi e nuove potenze si sono aggiunti. Così mentre c’è un continente in cerca di un precario equilibrio, sembra di assistere a un film già visto, perché le materie prime di cui l’Africa è ricca fanno di nuovo da calamita, questa volta anche per le esigenze della green economy”. È lucida l’analisi che Raffaele Masto fa a Oltremare parlando dell’attualità africana così come analizzata nel suo ultimo libro, La variabile africana (Egea, 2019, pp.192, € 18,50). Giornalista e saggista tra i più profondi conoscitori dell’Africa – lo si può ascoltare su Radio Popolare e leggere su Africa, la rivista edita dai Padri Bianchi, oltre che sul blog Buongiorno Africa – Masto parte dalle risorse naturali del continente per parlare delle esigenze legate all’economia verde. Ne esce fuori un quadro che consente letture a più livelli, giungendo anche a delineare gli equilibri geopolitici del pianeta.
“Il mondo – scrive Masto nel suo libro – è sul punto di passare dall’economia dei fossili – carbone, petrolio, gas – alla green economy, che è un sistema fondato sulle energie rinnovabili o sul motore elettrico. Il passaggio più evidente è quello all’alimentazione elettrica delle auto, a cui stanno lavorando tutte le grandi imprese del settore. Volkswagen, per esempio, punta a vendere tre milioni di auto elettriche entro il 2025. La Volvo ha comunicato che dal 2019 smetterà di produrre macchine alimentate solo a benzina o diesel. I governi di Gran Bretagna e Francia hanno assunto l’impegno a bandire la vendita di veicoli con motori a combustione dal 2040. Anche le compagnie petrolifere sono convinte che le auto elettriche porteranno al declino la domanda di greggio”.
Cosa succederà allora? O, meglio, cosa sta già accadendo? Masto passa in rassegna dati, presenze, somiglianze tra quanto accaduto per esempio alla Repubblica Democratica del Congo durante il periodo coloniale, con il Belgio che deteneva di fatto il monopolio del caucciù per l’industria dei pneumatici, e situazioni attuali in cui alcuni Paesi e multinazionali stanno gradualmente prendendo il controllo su materie prime fondamentali per l’economia verde.
C’è per esempio una corsa per il cobalto, scrive Masto, di cui servono tra i 4 e i 14 chili per realizzare la batteria di un’automobile elettrica; e non è un caso che il prezzo di questo minerale negli ultimi due anni sia raddoppiato, arrivando a costare sul London Metal Exchange oltre 80.000 dollari a tonnellata. L’autore ci prende quindi per mano e ci conduce quasi a visitare le miniere di cobalto situate nella Repubblica Democratica del Congo – sì, ancora una volta il Congo. “In Congo – scrive – non esistono miniere realmente organizzate, il metallo viene estratto da decine di siti occasionali che si trovano essenzialmente nella regione del Katanga, dove si stima che almeno 100.000 persone scavino a mani nude o con strumenti rudimentali, senza alcuna supervisione né misure di sicurezza. Tra questi minatori artigianali ci sono migliaia di bambini a partire dai sette anni – almeno 40.000 ragazzini secondo un rapporto di Human Rights Watch – che lavorano a 2 dollari per 12 ore al giorno. Morti e feriti sono frequenti, per non parlare dell’esposizione ai metalli, che fa insorgere problemi respiratori e altre malattie da inquinamento dell’aria e della terra”. Occorre allora porsi delle domande: perché mai, nonostante considerevoli riserve di cobalto si trovino in Cina, Zambia, Russia e Australia, il 70% del cobalto utilizzato nel mondo proviene oggi dalla Repubblica Democratica del Congo? Il motivo è semplice chiosa Masto: il cobalto congolese è il più conveniente perché i costi di produzione sono bassissimi. Ma a che prezzo? È proprio questo il lato oscuro della green economy.