Aics e Università di Pavia: 25 anni di partnership per il master in cooperazione e sviluppo
Gianni Vaggi, direttore del Master e ordinario di Economia dello sviluppo all’Università degli studi di Pavia racconta a Oltremare la sua lunga esperienza a contatto con i futuri protagonisti della cooperazione.
“In questi 25 anni il master ha formato 734 studenti di cui 475 ragazze e 259 ragazzi, di questi studenti 300 arrivavano da Paesi a reddito medio e basso, tantissimi da Paesi prioritari per la Cooperazione italiana e, ci tengo a sottolinearlo, la maggioranza è rappresentata da giovani donne molto brave e determinate”. Il professor Gianni Vaggi non nasconde una legittima soddisfazione quando parla dell’avvio della 25esima edizione del Master in Cooperazione e Sviluppo dell’Università di Pavia, cofinanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) “Negli ultimi anni riceviamo un centinaio di domande da tutto il mondo, all’incirca i due terzi da Paesi extraeuropei e il 60% sono giovani donne. Anche quest’anno abbiamo in classe 26 studenti di cui 12 non italiani e 16 sono ragazze”.
Il Master C&D, attivo dal 1997, è stato il primo Master in Cooperazione e Sviluppo istituito in Italia. Obiettivo: formare professionisti nel campo della cooperazione internazionale attraverso una formazione accademica e professionale altamente qualificata. Da novembre dunque, per 15 mesi, 30 studenti, provenienti da diversi Paesi e background accademici, studieranno insieme come garantire uno sviluppo equo e sostenibile per il Pianeta.
Lei ha ideato e dirige questo Master da 25 anni: a chi è rivolto e a quali sbocchi professionali prepara?
L’idea del master nasce in un pomeriggio di maggio davanti ad una coppa di fragole con la panna dopo una conferenza sulla cooperazione organizzata a Pavia da Unicef a cui partecipavo per l’Università insieme ad Antonio Raimondi allora presidente VIS, Maria gatti di Acra e Marina Miconi della Dgc del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. I ragazzi continuavano a chiederci come fare per entrare, con professionalità, nel mondo della cooperazione. Ci siamo detti: se i ragazzi ce lo chiedono bisogna provare fare qualche cosa. Siamo partiti da lì ed ancora qui siamo. Gli sbocchi professionali sono tutti quelli della cooperazione internazionale allo sviluppo. Subito si sono unite le ong Cisp, con Maura Viezzoli e Coopi con Paolo Giorgi e abbiamo avuto il sostegno forte e convinto dell’Università di Pavia, con l’allora Rettore Roberto Schmid, e lo Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia (Iuss).
Nel frattempo, la cooperazione internazionale è cambiata: come avete adeguato il progetto formativo e quali abilità e competenze sono oggi più necessarie, a suo avviso, per affrontare le nuove sfide?
Abbiamo adattato parecchi aspetti del programma soprattutto nella parte finale dedicata ad Hot Issues in development cooperation che ci consente di “aggiustare il tiro”.Ad esempio quest’anno rafforzeremo l’aspetto della sostenibilità ambientale soprattutto nei dibattiti economici. La struttura base del corso è di otto mesi di lezioni intensive (circa 500 ore di didattica frontale) più lo stage lungo: abbiamo impegnato più di un anno di lavoro con gli amici delle ONG per impostare questa struttura ma c’erano tre cose che avevamo chiare fin dall’inizio.
Primo non volevamo formare solo dei bravi ‘progettisti’, ma formare persone in grado di lavorare in tanti settori della cooperazione con capacità pratiche, ma anche critiche quindi in grado di interrogarsi sia sullo sviluppo che sulle politiche. Per questo è necessario una buona base di formazione accademica ed unna forte preparazione nell’attività concrete di cooperazione. Queste possono essere fornite solo da chi ci lavora professionalmente sul campo. Abbiamo oltre 20 docenti e almeno altrettante testimonianze di esperti mediante seminari.
Secondo, saremmo presto passati ad insegnare completamente in inglese: così è avvenuto dal 2001 in poi, altrimenti i ragazzi stranieri non avrebbero potuto partecipare.
Terzo, per dare ancora più opportunità ai giovani dei Paesi meno ricchi avremmo cercato di aiutare università locali a dotarsi di questo strumento. La scelta non era quella di aprire succursali locali per rilasciare un titolo dell’Università di Pavia… una pratica purtroppo assai diffusa. Volevamo fare un partenariato con Università locali che fossero interessate al master, ma adattandolo alle esigenze del Paese. Così è avvenuto nel 2003 con Cartagena, nel 2005 con Betlemme e nel 2013 con Nairobi e Kathmandu. E il Cdn (Cooperation and Development Network) è riconosciuto da Unesco.
Ci sono lauree più “consigliate” per accedere al master per lavorare nella cooperazione internazionale e quali profili sono più richiesti dal punto di vista occupazionale?
In questi anni abbiano avuto studenti con lauree molto diverse: economia, filosofia, giurisprudenza, ingegneria, scienze naturali e tante altre, ma per noi è molto importante il colloquio che facciamo almeno al 70% degli studenti che fanno domanda. Io raccomando sempre di fare tesoro della formazione precedente, considerato anche che si tratta di un master di II livello a cui si accede con la laurea magistrale.
Che ruolo ha avuto Aics dal punto di vista didattico?
Molto importante, noi ed il Collegio Borromeo diamo sempre borse di studio a studenti dai Paesi a reddito basso e medio basso. Ma ogni anno abbiamo almeno 60-70 domande dai Paesi meno ricchi e quasi tutti questi giovani sono bravi e meritevoli. Anzi, grazie ad Aics, abbiamo potuto offrire questa possibilità a molti più studenti, soprattutto dai paesi prioritari per la Cooperazione italiana.
Chi sono i giovani che si iscrivono? Da quali percorsi di studi provengono e quali aspettative hanno? Le studentesse sono egualmente numerose/rappresentate? Perché a suo avviso? Qualcuno degli studenti è rimasto in contatto con l’Università e ha dato notizia dei risultati professionali ottenuti? (in pratica dove lavorano oggi gli ex studenti? Ne avete traccia?
Magari c’è un gruppo FB di ex corsisti…)
Abbiamo avuto oltre 700 studenti e siamo in contatto con almeno 250 di questi. Molti hanno lavorato o lavorano nella cooperazione, ong italiane e con Aics, anche in questo momento. A questo proposito vorrei ricordare Giacomo Tedesco morto a Maputo un venerdì pomeriggio mentre lavorava per Aics: è sempre nei nostri cuori. Molti lavorano con ong internazionali ed altre cooperazioni governative, alcuni hanno fatta carriera nel sistema delle Nazioni Unite anche a livelli molto alti, altri ancora lavorano con l’Unione Europea, sempre nel settore della cooperazione. E’ interessante notare che alcuni sono andati a lavorare nel settore privato, credo che la formazione che noi diamo possa essere davvero utile anche nel social business e nel mondo profit. Ma vorrei anche ricordare un nostro studente di pochi mesi fa che oggi è Ambasciatore d’Italia in Niger ed un altro studente che è attualmente il ministro dell’Educazione e della coesione nazionale in Malawi.
Quanto incide nel successo professionale un buon corso accademico e cosa invece non può sostituire?
Non può sostituire l’esperienza sul campo e per questo abbiamo sempre detto fin dall’inizio: stage lungo. Un buon corso è multidisciplinare, perché lo sviluppo ha molti volti, ma deve essere strutturato e organizzato con cura altrimenti si riduce a un susseguirsi di cicli di seminari, che però sono un’altra cosa.
Fra i numerosi ambiti di ricerca in cui lei ha lavorato c’è “l’idea di giustizia e la cooperazione come dialogo” come la spiegherebbe a un ragazzo delle scuole superiori?
Dottoressa Tamai lei provoca. Il professor Missaglia ed io stiamo completando un libro di testo sullo sviluppo umano e sostenibile e nei capitoli conclusivi affrontiamo l’Obiettivo di Sviluppo 17, sul partenariato globale, e anche il 16 su pace e giustizia. ‘Lo sviluppo è il nuovo nome della pace’ scriveva Paolo VI nell’ Enciclica Populorum Progressio del 1967. Ed è ancora così, anzi sempre di più. Il futuro della cooperazione o è dialogo o non è. Attenzione non pensiamo che il dialogo sia semplice…Io vado spesso nelle scuole superiori a raccontare le esperienze di cooperazione, ma anche parlare degli Obiettivi di Sviluppo, Sostenibile. Va fatto e si può fare, i ragazzi seguono benissimo.
E lei, che cosa ha imparato in tutti questi anni?
Quando abbiamo iniziato, e fino ad una quindicina di anni fa, si percepiva una distanza significativa fra le capacità loro e quelle dei ragazzi europei: nei gruppi di lavoro, negli interventi in classe, anche negli esami. Ebbene negli ultimi dieci anni questa differenza si è annullata, il gap si è chiuso. Per chi, come me, ha fatto ‘l’educatore” tutta la vita è una constatazione che riempie di gioia e di ottimismo. Confesso che vedere le capacità e la determinazione delle ragazze che arrivano da paesi complicatissimi dell’Africa è una cosa che non solo mi dà speranza, ma mi commuove. Ce la faranno, ce la faremo.
Sul perché questo gap si è chiuso ho qualche idea, ma questa è un’altra storia..