Covid-19 e Cooperazione internazionale: riflessioni senza pretese di un medico
“Salute!” “God bless you!”. L’augurio che siamo soliti scambiarci dopo uno starnuto nasce quasi sette secoli fa, nel 1348. In quell’anno uno starnuto poteva rappresentare un banale atto fisiologico, oppure il primo sintomo della Peste Nera che nel giro di pochi giorni avrebbe ucciso il malcapitato: da qui l’invocazione apotropaica alla benedizione divina. L’impatto di quella pandemia nella nostra cultura è quindi vivo ancora oggi; è del tutto presumibile che anche i postumi del Covid-19 incideranno pesantemente, negli anni futuri, sulle nostre vite. Già ora la pandemia ha distrutto le nostre incrollabili certezze nella scienza, come suggerito dall’impietoso confronto fra quanto consigliato per fronteggiare l’“influenza spagnola” del 1919 e le raccomandazioni oggi adottate: è passato un secolo esatto, colmo di straordinari progressi scientifici, ma di fronte al virus siamo disarmati ed impotenti ora come allora.
L’impatto del Covid-19 sull’Africa non è stato particolarmente incidente dal punto di vista sanitario, almeno per quanto risulta dai dati disponibili. E’ stato invece devastante dal punto di vista economico (drastica riduzione negli scambi commerciali, crollo del turismo, aumento del gap fra ambiente rurale ed urbano e conseguentemente delle già pesanti diseguaglianze nell’accesso alle cure, …) con le agenzie di rating che hanno spietatamente sancito il declassamento economico di un intero continente aggravandone recessione, inflazione, costo della vita. Già si paventa che la incancrenita povertà del continente possa determinare gravi sperequazioni nell’accesso al vaccino – ancora di là da venire, ma unica vera soluzione al problema, dato che non possiamo attendere per anni l’instaurarsi dell’immunità di gregge come fu giocoforza con le passate pandemie.
Immediata conseguenza di questa situazione è stato un impatto altrettanto rovinoso su sistemi sanitari già di per sé prossimi al collasso; così come accadde in occasione di Ebola, il timore del contagio o le misure di lock down tengono lontani i pazienti dagli ospedali, con ciò aumentando i decessi per mancate cure (si pensi ad esempio all’aumento della mortalità materna per mancato ricorso ad un parto cesareo). Nel corso dell’emergenza, ancora tutt’altro che superata in Africa come nel resto del mondo, gli sforzi delle Osc sanitarie si sono indirizzati nel cercare di mantenere disponibili i servizi essenziali agendo sulle comunità e sui sistemi sanitari, ed investendo sulla formazione specifica e sulla sicurezza e degli operatori.
Il Covid-19 sta cambiando il mondo, ed anche la cooperazione internazionale dovrà quindi ripensare radicalmente i propri paradigmi di intervento: come detto da papa Francesco, non siamo di fronte ad un’epoca di cambiamenti, ma ad un cambiamento d’epoca. Siamo stati costretti a riscoprire lo “smart working”, dovremo inventare la “smart cooperation”, esplorando ad es. le possibilità offerte dall’Ict – particolarmente importanti nel campo della cooperazione universitaria – per condividere con questi Paesi le nostre esperienze e soprattutto i nostri errori. Chiesero una volta ad un grande chirurgo: “Come si fa ad evitare errori in sala operatoria?” – “Avendo una grande esperienza” fu la risposta. “E come si fa a sviluppare una grande esperienza?” – “Commettendo molti errori!”. Abbandonata l’annosa arroganza di “insegnare” ai nostri partner cosa fare e come agire, possiamo con tatto e discrezione suggerire come evitare i nostri stessi sbagli, anche nella gestione del virus.
La pandemia è una tragedia mondiale, ma può divenire un’opportunità da non mancare, capace di stimolare la riflessione su nuove strategie di cooperazione che integrino emergenze e sviluppo negli interventi di cooperazione sanitaria. Preparandoci al post pandemia – che si spera non così lontano – dovremo riflettere su cosa abbiamo sinora fatto e non potremo più fare, cosa abbiamo fatto ma potremo fare meglio, e cosa non abbiamo mai osato fare prima, ma che la nuova situazione mondiale esigerà si faccia, sfoderando tutta la multiforme creatività di cui il mondo della cooperazione italiana è fortunatamente ancora molto ricco.