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Terzo Summit Turchia - Africa, nel dicembre 2021

Diplomazia, interessi economici, sicurezza e cooperazione: alcuni tratti del coinvolgimento turco in Africa

Dal 2005 Ankara si è ritagliata uno spazio di manovra nel continente grazie al lavoro delle sue agenzie statali, di organizzazioni della società civile e aprendo diverse ambasciate e uffici consolari. Negli ultimi anni si è posta come alternativa agli Stati occidentali ex coloniali e ad altri stakeholder, focalizzandosi sul settore della difesa, con una politica che non è però priva di opacità, dubbi e limiti

Nel 2005, il Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) guidato da Recep Tayyip Erdogan proclamò l’Anno dell’Africa con l’obiettivo di aumentare la presenza turca sul continente ed in particolare in Africa Sub-Sahariana. L’iniziativa dell’esecutivo Akp riprendeva un programma di apertura all’Africa, il cosiddetto Africa Action Plan (Aap), risalente al 1998. Se, sul finire dello scorso millennio l’instabilità politica interna e la fragilità economica del Paese avevano impedito alla Turchia di attuare l’Aap, nel 2005 l’Akp si trovò nelle condizioni favorevoli per dare impulso alla proiezione del paese verso l’Africa. Dal 2005 ad oggi, la Turchia ha utilizzato diversi strumenti per consolidare le relazioni diplomatiche ed economiche con i Paesi africani. In linea generale, la Turchia ha seguito una road-map di azioni semi-coordinate tra agenzie statali e organizzazioni riconducibili alla società civile. Tale approccio ha favorito la rapida apertura della Turchia all’intero continente africano, come testimoniato dal crescente numero di ambasciate e uffici consolari. Durante i primi anni (2005-2011), il Paese anatolico è riuscito a ritagliarsi spazi di manovra in Africa proponendosi come alternativa politica ed economica ai tradizionali Paesi occidentali. Nei confronti di quest’ultimi le popolazioni di molti stati africani nutrono da tempo un elevato livello di sfiducia a causa soprattutto della memoria storica del periodo coloniale. Al contrario, la Turchia grazie ad un’opera di reinterpretazione del proprio passato imperiale, ha fatto leva sull’assenza di esperienze coloniali per marcare la distanza da altri attori extra-regionali. Inoltre, forte di oltre un decennio di crescita economica e stabilità politica, la Turchia è stata in grado di presentare ai Paesi africani il proprio modello di crescita o formula turca allo sviluppo: l’Ankara consensus.

Alla base di tale principio, caratteristico della seconda fase della politica turca verso il Continente (2011-2017), vi è una combinazione tra il tradizionale modello liberale occidentale e il capitalismo autoritario cinese in cui gli investimenti e gli aiuti destinati allo sviluppo non presentano condizionalità. Come tutta la politica estera turca, anche il modus operandi in Africa ha risentito della rapida regressione democratica iniziata a partire dal 2014. La configurazione della struttura istituzionale turca dedicata all’Africa appare maggiormente centralizzata rispetto al passato. La stretta sulla società civile ha inevitabilmente ridotto le possibilità e le libertà di manovra delle Osc e delle tante fondazioni impegnate in progetti di varia natura, dall’ambito umanitario al settore educativo. Allo stesso tempo, però, l’indirizzo dall’alto consente alla Turchia di muoversi in alcuni contesti regionali come sistema paese coeso, trainato dall’azione sul terreno dell’Agenzia di Cooperazione e Coordinamento (Tika). Dal 2017, gli sviluppi interni e regionali hanno favorito l’avvio di una nuova fase dell’agenda turca verso l’Africa contraddistinta dalla ricerca di una maggiore profondità strategica e dal crescente interesse per le questioni di sicurezza. L’apertura del campo di addestramento militare di Mogadiscio rientrava in tale logica. Successivamente, lo scoppio della crisi pandemica del Covid-19 ha rappresentato un ulteriore spartiacque della politica africana di Ankara.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il presidente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi (a sinistra) e il presidente della Commissione dell'Unione Africana Moussa Faki Mahamat (a destra) posano per una foto prima di una conferenza stampa congiunta nell'ambito del 3° vertice del partenariato Turchia-Africa a Istanbul , Turchia il 18 dicembre 2021

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il presidente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi (a sinistra) e il presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat (a destra) posano per una foto prima di una conferenza stampa congiunta nell’ambito del terzo vertice del partenariato Turchia-Africa a Istanbul il 18 dicembre 2021

Dal 2021 ad oggi la Turchia ha rivitalizzato la propria agenda verso il continente Africano insistendo soprattutto sul settore difesa, considerato un potenziale volano dei rapporti turco-africani. La Turchia sta cercando di capitalizzare i tanti investimenti effettuati negli ultimi quindici anni nel settore aerospazio e difesa. Oltre all’acquisizione di una maggiore autonomia strategica rispetto alle scelte dei tradizionali alleati occidentali, il piano di investimenti nel settore è considerato funzionale all’incremento della bilancia commerciale con l’Africa. La centralità data alle tante aziende operative nell’industria della difesa è confermata dagli argomenti al centro delle discussioni durante gli incontri bilaterali e multilaterali tra i rappresentanti del governo turco e i Paesi africani. I meeting sono caratterizzati dai tradizionali temi dell’agenda africana turca, come l’approccio “win-win” allo sviluppo, la promozione dell’Ankara consensus, e la retorica del “mondo è più grande di cinque” che evidenzia l’ambizione della Turchia di farsi promotrice di una vasta riforma della governance globale. Negli ultimi mesi, l’attenzione mediatica e le manifestazioni di interesse da parte dei Paesi africani sono rivolte soprattutto agli Unmanned Aerial Vehicle (Uav/droni) di produzione turca. Questi, alla luce dell’efficienza mostrata nel contesto libico, durante il conflitto in Nagorno Karabakh, e più recentemente in Ucraina, si stanno ritagliando una fetta crescente di mercato, non solo africano. I droni turchi, infatti, costituiscono un prodotto sempre più richiesto a causa dell’ottimo rapporto qualità prezzo. In molti iniziano a guardare al modello di Uav da combattimento turco di maggiore successo, il TB2, come ad una sorta di moderno AK-47 la cui diffusione è destinata ad aumentare nei prossimi anni. I Paesi africani, infatti, incontrano molti meno ostacoli, finanziari e politici, nell’acquisire droni turchi africani rispetto a quelli di produzione statunitense, francese o israeliana.

Un drone turco Bayraktar TB2

Un drone turco Bayraktar TB2. Foto: Wikimedia Commons

Sarebbe tuttavia riduttivo circoscrivere l’offerta turca ai soli droni. La produzione turca nel settore difesa è diventata sempre più varia. L’inventario delle aziende turche comprende una molteplicità di prodotti come armi leggere, equipaggiamento navale, elicotteri, mezzi blindati, e nuove tecnologie. Le relazioni nell’ambito difesa e sicurezza che la Turchia ha stabilito con i Paesi africani non riguardano unicamente la vendita di hardware e tecnologie militari. Negli ultimi anni, Ankara ha consolidato il profilo di attore esperto nella formazione di forze speciali impegnate in operazioni antiterrorismo e di contro insorgenza. A partire dall’esperienza maturata nel contrasto al terrorismo curdo (Pkk), alcuni reparti delle forze di sicurezza turche addestrano da diversi anni i corpi speciali (Haram’ad e Gorgor) dell’esercito somalo. Un’esperienza che, nelle intenzioni turche, potrebbe riproporsi anche con altri Paesi. Ankara ha l’obiettivo di presentarsi ai Paesi africani come valido partner nel consolidamento degli apparati di sicurezza interni entrando in competizione con altri player extra-regionali come la Russia che sfrutta da tempo l’operato di compagnie militari private, come il noto Wagner Group.

Non vi sono dunque dubbi sul fatto che la Turchia sia riuscita in pochi anni ad acquisire il ruolo di stakeholder in diversi contesti africani. La nuova fase dell’agenda turca verso l’Africa non è però priva di opacità, dubbi e limiti. I tanti interventi turchi nella cooperazione e negli aiuti umanitari ai paesi africani presentano una significativa dimensione politica che li differenzia da quelli di altri paesi Ocse. Le agenzie pubbliche e private turche impegnate nella cooperazione raramente si coordinano con le agenzie o Osc di altri Paesi ma intervengono all’interno di un quadro normativo determinato da accordi bilaterali. Inoltre, è presente un evidente scollamento tra il modo in cui la Turchia promuove mediaticamente e diplomaticamente le proprie azioni in Africa rispetto alla reale portata che esse rivestono. Anche per quanto riguarda il crescente interesse turco per le questioni di sicurezza africane ci sono diverse ombre. I tanti accordi in materia possono indubbiamente avere un impatto positivo sul continente aiutando i processi di capacity-building delle strutture di sicurezza dei Paesi africani soprattutto per contrastare le minacce interne come il terrorismo di matrice religiosa o i gruppi ribelli. Allo stesso tempo, però, diversi dubbi vengono sollevati circa l’utilizzo che gli stessi apparati di sicurezza africani potrebbero fare degli hardware e del know-how turco. Inoltre, in alcuni contesti altamente frammentati e in situazioni in cui sono presenti delle dispute inter-statali irrisolte l’ingresso della Turchia nel mercato della difesa potrebbe alimentare la corsa agli armamenti.

Biografia
Federico Donelli
Ricercatore in Relazioni internazionali presso il Dipartimento di Scienze politiche e Sociali dell’Università di Trieste dove insegna Relazioni internazionali e Studi strategici. Le sue ricerche riguardano la sicurezza e la politica del Medio Oriente e dell’Africa subsahariana. Tra le sue pubblicazioni: Le due sponde del Mar Rosso: la politica estera degli attori mediorientali nel Corno d’Africa (Mondadori Università, 2019), Sovranismo islamico. Erdogan e il ritorno della Grande Turchia (Luiss University Press, 2019), Turkey in Africa. Turkey’s Strategic Involvement in Sub-Saharan Africa (London-New York: IB Tauris, 2021) e diversi saggi su riviste internazionali come Third World Quarterly, International Affairs, Small Wars & Insurgencies, The International Spectator.
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