Diritti e persone con disabilità: tra riflessioni e prospettive
Il 10 dicembre del 2018 si è celebrato il settantesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (ONU, 1948) che come una bussola ha inteso orientare per decenni lo sviluppo della democrazia a livello mondiale. Era il 1948, il mondo usciva dalla tragedia della Seconda Guerra mondiale e la prospettiva dei diritti sembrava aprire alla stagione di un nuovo umanesimo.
A quella Dichiarazione rivoluzionaria per il suo carattere universale, hanno fatto seguito altri importanti dispositivi normativi nazionali ed internazionali. Misure nate con l’obiettivo di consolidare culture e politiche fondate sul paradigma dei diritti umani per contrastare il dilagare ancora profondo delle violazioni dei diritti stessi. Violazioni che tutt’oggi colpiscono una percentuale elevata della popolazione mondiale, in particolare di coloro che vivono in condizioni di maggiore vulnerabilità, come le persone con disabilità che rappresentano circa il 15% della popolazione mondiale (WHO & World Bank, 2011), di cui l’80% vive in Paesi a basso reddito (WHO & World Bank 2011, 2017) e con un livello di povertà misurata in termini di opportunità, di accesso all’educazione –il 90% dei bambini con disabilità non ha accesso all’istruzione (World Bank, 2017)– alla formazione, al lavoro, alle opportunità di poter compiere scelte sul proprio progetto di vita. Si tratta di contesti che ancora oggi difficilmente vedono applicati i principi della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (Onu nel 2006) riaffermati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (2015), di cui l’inclusione rappresenta uno dei pilastri fondamentali alla base di uno sviluppo sostenibile.
L’esclusione delle persone con disabilità dalle opportunità educative e di formazione professionale è spesso l’anticamera di processi di emarginazione dal mondo del lavoro, precludendo l’autonomia economica e determinando un investimento rilevante di risorse socio-assistenziali necessarie a sopperire alla mancanza di indipendenza. L’educazione rappresenta quindi una delle principali chiavi di svolta per un progetto di vita costruito sull’autodeterminazione, proiettato verso l’autonomia e funzionale a spezzare il binomio disabilità-povertà (Taddei, 2018). Griffo (2013) afferma che «la disabilità è un concetto in evoluzione” perché la percezione dei diritti umani e la consapevolezza delle condizioni di discriminazione delle persone con disabilità cambiano a seconda dei contesti sociali, culturali ed economici» (Griffo, 2013).
Alla luce della complessità del quadro presentato è evidente come sia gli interventi di cooperazione internazionale realizzati in sinergia con i diversi attori interessati, sia l’attività di ricerca e di capacity building condotta dalle Università possano assumere insieme un ruolo fondamentale nel promuovere i diritti delle persone con disabilità in tutti i contesti. La Cooperazione Internazionale attraverso la predisposizione di strumenti teorici ed operativi si impegna a promuovere e garantire un approccio di meanstreaming della disabilità: in questo senso “Le Linee Guida per la disabilità e l’inclusione sociale negli interventi di cooperazione” adottate dall’AICS nel 2018 rappresentano uno strumento di grande valore nel panorama della cooperazione internazionale. L’Università, a sua volta, attraverso la sperimentazione di approcci di ricerca innovativi ha la possibilità di coniugare il rigore scientifico con il valore politico insito nel coinvolgimento delle persone con disabilità stesse, nei processi di ricerca su tematiche rilevanti, tra cui l’educazione. Tematica su cui la pedagogia speciale è chiamata in primis a riflettere rispetto al contributo che può offrire per lo sviluppo di processi inclusivi in Paesi a basso reddito, a partire dalla formazione degli insegnanti, allo sviluppo di politiche, culture e pratiche educative inclusive.