Incubatore Chub, Ccst e Aics a fianco delle donne sudanesi imprenditrici
All'interno del Chub, incubatore voluto dal Comboni College of Science and Technology (Ccst) di Khartoum, il progetto She Says, finanziato dall'Agenzia Italiana per la cooperazione allo Sviluppo, accompagna ragazze sudanesi nel campo della grafica digitale, in particolare con progetti che coinvolgono persone con disabilità
La rivoluzione sudanese del 2019 ha reso visibile il potere delle donne nella trasformazione sociale del Paese. Inoltre, sono una chiave per lo sviluppo sostenibile di una nazione dove il contesto socio-economico limita enormemente le iniziative imprenditoriali dei giovani, ed ancora di più quelle pensate da sfollati, rifugiati e donne. Il Sudan, infatti, occupa il 171esimo posto nel ranking Doing business della Banca Mondiale. Quest’ultimo è uno strumento utile per valutare e confrontare la facilità o la difficoltà di fare impresa in un Paese. Tale valutazione viene effettuata attraverso l’impatto che la legislazione e le istituzioni hanno sulla creazione, il funzionamento e l’espansione delle imprese.
Davanti a queste difficoltà, il Comboni College of Science and Technology (Ccst), un ateneo creato a Khartoum dai missionari comboniani, la chiesa locali ed alcuni cittadini sudanesi nel 2001, ha stabilito un incubatore di startup, il Chub, per sostenere i giovani sudanesi e i rifugiati nell’avvio e lo sviluppo dei loro progetti imprenditoriali con particolare attenzione all’ambito digitale.
L’incubatore è stato creato come conclusione naturale del progetto Inso, finanziato dal dipartimento Migrazioni e libertà del ministero dell’Interno fra il 2017 ed il 2019, che ha formato all’imprenditorialità 136 studenti di Informatica e tecnologie dell’Informazione di 16 università sudanesi. Questo sbocco era stato anticipato il 22 novembre 2017, dopo undici mesi dall’avvio di Inso, alla fine del congresso dal titolo “Innovazione nella società e valorizzazione del capitale umano: sfide e prospettive per il Sudan nello scenario internazionale”, organizzato dall’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (Iriss-Cnr), a capo del progetto.
Le ragioni per pensare all’incubatore come una logica conseguenza del progetto Inso si evincono dai diversi elementi. Innanzitutto dalla struttura del mercato del lavoro sudanese, caratterizzato dal predominio del settore pubblico nell’occupazione totale. Il Paese ha una struttura demografica con una crescita molto rapida e un’altissima percentuale di popolazione giovane, ma è basso il livello delle competenze a causa della mancanza di scuole tecniche e della fuga di cervelli, mentre il tasso di disoccupazione cresce. Gli studi universitari in Sudan, inoltre, hanno poi un carattere prevalentemente teorico e non srisultano adeguati ai bisogni del mercato.
In questo contesto le start-up devono affrontare diverse sfide. Fra queste possiamo citare la mancanza di know-how degli studenti universitari in relazione alla trasformazione delle loro idee imprenditoriali in aziende efficaci, la mancanza di visibilità sul mercato e delle connessioni necessarie, in particolare per giovani sfollati e rifugiati, oltre ai pregiudizi culturali che affrontano le donne.
Il Chub è un incubatore particolare nel contesto sudanese, dove ormai ne esistono altri, perché è stato creato da un’università. Uno studio sulle start-up situate nel Parco Scientifico e Tecnologico dell’Università di Porto (Uptec) ha definito le aspettative dei giovani imprenditori rispetto all’incubatore universitario. Lo studio rivela “che i collegamenti con l’Ateneo sono molto apprezzati in termini di aspettative, non solo per il brand associato (che può aumentare la legittimità delle start-up), ma anche per la rete di ateneo che può essere accessibile attraverso l’incubatrice”.
Le sfide sopra menzionate sono ancora più complesse per le giovani con disabilità. Come evidenzia un report del 2018 di Solutions 4 Youth Employment: “Le giovani donne con disabilità affrontano tassi di disoccupazione più elevati rispetto ai giovani uomini con disabilità. I giovani con disabilità subiscono un doppio onere quando entrano nel mondo del lavoro. Affrontano gli ostacoli che i giovani incontrano nell’entrare nel mercato del lavoro e devono affrontare ulteriori barriere infrastrutturali, istituzionali e attitudinali legate alla loro disabilità”.
Con queste premesse il Ccst e Chub hanno presentato il progetto di incubazione She Says per appoggiare imprenditrici interessate ad avviare e sviluppare iniziative che combinano arte e tecnologia con priorità per donne con disabilità ed i loro familiari.
Il progetto, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics), ha preso il via con un hachathon dove 150 giovani con diverse abilità e background accademico (disegno grafico, informatica, amministrazione aziendale) hanno elabrato delle proposte imprenditoriali. Le 20 ragazze selezionate per un processo di incubazione di sei mesi sono state aiutate a sviluppare il loro piano di marketing, il modello di business e la dimensione grafico digitale (sito web, branding, carte di visit) dei loro progetti. Uno di questi è guidato da una donna con disabilità fisica e altri due includono diversi impiegati con disabilità mentale o fisica.
La maggior parte di questi progetti sono ormai sul mercato e l’incubatore ancora continua ad appoggiare queste donne per allargare e consolidare il loro business e generare ancora più posti di lavoro.