Più donne in politica: empowerment femminile in Africa
L’aumento della rappresentanza politica delle donne ha avuto un impatto significativo, in molti paesi, ai fini della discussione e dell’approvazione di leggi e grazie alle campagne di informazioni, insieme alla collaborazione tra parlamentari, organizzazioni di donne e attiviste.
Dal 1995 ad oggi, nel mondo, il numero delle donne parlamentari è raddoppiato, passando dall’11,3 al 23,3 per cento, una crescita lenta e ancora distante dalla “soglia critica” del 30 per cento e dall’obiettivo di raggiungere la parità di genere nella rappresentanza. Ci sono comunque ampie variazioni regionali, con i paesi del nord Europa che possono vantare un 41,4 per cento contro il 28,5 per cento del continente americano, il 25,9 per cento dell’Europa (esclusi i paesi nordici), il 23,7 per cento dell’Africa sub-sahariana, il 18,9 per cento dell’Asia, il 18,3 per cento dei paesi arabi e il 15,5 per cento della regione del Pacifico. 1
Esistono tuttavia una serie di elementi che hanno frenato la portata del cambiamento e che, in alcuni paesi, continuano ad ostacolare l’accesso delle donne alle istituzioni: i sistemi elettorali (in particolare nei paesi con sistemi proporzionali a liste chiuse), la minore partecipazione delle donne al voto, la bassa rappresentanza a livello locale, le norme socio-culturali che limitano la mobilità delle donne fuori dallo spazio familiare, i fenomeni di violenza politica ed elettorale, il minore accesso all’istruzione superiore da parte delle donne.
L’Africa sub-sahariana è un caso particolarmente rilevante: il Ruanda è il primo paese al mondo per numero di donne parlamentari (61,3 per cento) e tredici paesi del continente si collocano hanno superato la soglia del 30 per cento. Questi dati vanno però letti alla luce dei processi storici e politici dei paesi della regione sub-sahariana e accompagnati da un’analisi dei limiti e delle opportunità della rappresentanza.
L’aumento della partecipazione politica delle donne nei paesi dell’Africa sub-sahariana a partire dalla seconda metà degli anni ’90 è infatti riconducibile ad una serie di fattori, quali l’apertura al multipartitismo e la conseguente creazione di uno spazio politico allargato nel quale le organizzazioni e i movimenti delle donne hanno acquisito maggiore visibilità e voce, fuori dal controllo dei partiti unici; l’impegno di alcuni partiti politici – come l’African National Congress in Sudafrica e il Frelimo in Mozambico, saliti al governo dopo decenni di lotte di liberazione che avevano visto un ampio coinvolgimento delle donne – a promuovere la rappresentanza delle donne attraverso il sistema delle quote; l’impeto creato dagli esiti della Conferenza delle donne di Pechino del 1994 che ha dato forza e legittimità alle domande di cambiamento interne ai paesi.
Uno dei traguardi identificati dal quinto obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” – è quello di garantire la piena ed effettiva partecipazione femminile e delle pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica”. Tale obiettivo si richiama sia all’articolo 7 della Convenzione del 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne – che impegna gli Stati membri a garantire alle donne il diritto di votare e di essere elette, di partecipare nella formulazione e nell’attuazione delle politiche di governo, di assumere cariche pubbliche a tutti i livelli e, infine, di partecipare nelle associazioni e organizzazioni non governative che si occupano della vita pubblica di un paese – sia ad una delle “aree di crisi” individuate dalla Piatta-
Alla luce di queste sfide, il ruolo della cooperazione internazionale rimane cruciale. In primo luogo, la cooperazione allo sviluppo deve contribuire a colmare il gap di dati e conoscenze sulla partecipazione politica delle donne, sia a livello locale che nazionale, e sull’impatto di questa sulla vita dei cittadini e delle cittadine e sull’ambiente politico.
In secondo luogo – e questo è l’approccio che la Cooperazione Italiana allo Sviluppo sta sistematizzando e promuovendo – le iniziative di cooperazione a promozione dei diritti delle donne devono muovere dalla consapevolezza che le dimensioni dell’empowerment sono multiple e non si limitano all’aumento del numero di donne che siedono in Parlamento o nelle istituzioni locali: il sostegno all’associazionismo e ai movimenti delle donne a tutti i livelli, la formazione e il rafforzamento delle competenze, le iniziative a favore della “agency” delle donne devono rimanere aree prioritarie d’intervento per la cooperazione, in collaborazione con gli attori della società civile, dell’Università e delle istituzioni nazionali e internazionali.