Rafforzare l’imprenditorialità sociale in Albania: un progetto finanziato da Aics
Per via della pandemia il mondo sta vivendo esperienze nuove e inattese che, oltre a cambiare le abitudini e le regole della convivenza di questo periodo, lasceranno anche segni che è ancora troppo presto per comprendere. Quello che pare certo è che sia l’emergenza sanitaria che quella economica hanno accresciuto considerevolmente, ed in modo diseguale, il disagio sociale.
I tradizionali sistemi pubblici di welfare, che si occupavano di dare risposte alle persone con difficoltà, momentanee o permanenti, fanno fatica a rispondere alla crescente domanda di sostegno e di supporto. Già da diversi anni prima dell’arrivo del Covid-19 si è assistito sia in Italia, e anche in altri Paesi europei, alla crescita, sia in termini numerici che di dimensione, delle imprese sociali e delle organizzazioni no profit di utilità̀ sociale che affiancano, in modo diretto o indiretto, i sistemi sociosanitari e di welfare di tipo pubblico.
Questa tendenza derivava da due ordini di fattori: da un lato la crisi fiscale del settore pubblico e il conseguente nodo della sostenibilità̀
economica nel tempo del welfare state, dall’altro la ricerca di nuove modalità̀ di generare servizi a fasce deboli della popolazione, che possano combinarsi virtuosamente con le attività̀ economiche e produttive, qualificandole e arricchendole di senso e significato. La crisi pandemica ha accentuato l’attenzione verso i servizi di welfare che dovranno sempre più essere progettati coinvolgendo la società civile e le imprese del territorio, secondo i principi del welfare di comunità.
È in questa premessa, necessariamente stringata, che si inscrive l’interesse verso le pratiche agricole, tradizionalmente non considerate come generatrici di benessere sociale, ma che stanno trovando uno spazio di attenzione sul solco di quella che ormai viene definita come “agricoltura sociale”. Una tematica di cui cercheremo, con questa nota, di focalizzare alcuni aspetti, anche in riferimento a progetti finanziati dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) .
Con riferimento al mondo agricolo, l’agricolturasociale si innesta nel quadro della cosiddetta multifunzionalità̀ delle pratiche agricole e dei percorsi di diversificazione economica intrapresi da molte imprese del settore. Le molteplici funzioni, diverse da quella “primaria”, che nella prospettiva della multifunzionalità̀ vengono riconosciute alle imprese agricole condividono quasi tutte una caratteristica: quella di orientarsi al territorio in cui opera l’impresa.
I percorsi di questo tipo, rappresentati da attività quali l’agriturismo, le fattorie didattiche, quelle sociali, e altre ancora, hanno caratterizzato l’agricoltura italiana come forse nessun’altra in Europa e costituiscono esempi di buone pratiche anche per i progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo. In particolare l’agricoltura sociale, dopo l’importante riconoscimento normativo rappresentato dalla legge 141 del 18 agosto 2015, sta ricevendo un’attenzione e un interesse rilevanti, al punto che anche l’Istat per la prima volta l’ha inclusa tra l’elenco delle attività connesse nel questionario del settimo Censimento dell’agricoltura del 2021. L’esperienza italiana dell’agricoltura sociale rappresenta da vari anni anche un riferimento per altri Paesi, non solo europei, che si stanno avviando su questa strada in cui economia, inclusione sociale, attenzione ambientale e la produzione di cibo si intrecciano virtuosamente. Un esempio in questa direzione è l’Albania dove si stanno avviando progettualità coerenti con questa visione.
Mi riferisco al progetto Rise-Alb finanziato sul bando 2018 da Aics e in corso di realizzazione da un partenariato avente come capofila Engim Internazionale. Il Dipartimento Dafne contribuisce a questo progetto attraverso Idea 2020, società spin-off partecipata dall’Università della Tuscia, che ha attuato attività formative inerenti all’agricoltura biologica e sociale.
Fulcro di Rise-Alb è la realizzazione di un incubatore agroalimentare sui terreni della Scuola tecnico-agraria Rakip Kryeziu di Fier, una delle più importanti dell’Albania. L’incubatore verrà preso in gestione da un’impresa sociale con lo scopo di coniugare creazione di occupazione, inclusione sociale di soggetti svantaggiati e promozione dell’agricoltura locale fornendo ai produttori del territorio una possibilità di trasformare i prodotti in un percorso di qualità, anche sotto il profilo sociale.
Engim è già presente da anni a Fier, con la pasticceria sociale KE Buono! sorta in un bene confiscato alla criminalità. Grazie al sostegno di Aics con il progetto Rise-Alb la presenza dell’ong si estende anche all’ambito agricolo e agroalimentare, settore ancora centrale nell’economia albanese. Rise-Alb e Ke Buono! sono entrambi esempi di co-produzione, di beni e servizi agroalimentari e sociali in una regione dove l’imprenditorialità sociale non ha ancora la diffusione e la solidità che da anni ha assunto nel nostro paese. Per questo motivo lo scambio di buone pratiche previsto dal progetto svolge in questo caso un ruolo particolarmente utile.
Per Rise-Alb sono stato a Fier nell’ottobre del 2020, per svolgere attività formative nei confronti di imprenditori agricoli della regione, capaci, come ho potuto appurare, di ottenere produzioni ortive di qualità e con rese elevate. La mancanza di strutture associative o consortili dei produttori rende però il potere di mercato del singolo agricoltore molto limitato a fronte a quello dell’agroindustria e degli attori economici situati a valle.
Nella direzione di creare reti tra i produttori e di promuoverne un agire in comune è improntato il Consorzio “Pro Permet”, promosso da un progetto di sviluppo locale del Cesvi, con cui Rise-Alb collabora e che mette insieme in modo formale attori economici locali attivi in diversi settori – agricoltura, trasformazione dei prodotti agricoli, turismo, ristorazione e artigianato. Il comparto ortofrutticolo del territorio di Fier appare invece privo di una visione di filiera che coinvolga i diversi attori a monte e a valle della fase strettamente agricola. Gli agricoltori operano in un contesto di sostanziale isolamento l’uno dall’altro e con i limiti di accesso alle informazioni che questo comporta. Occorrerebbe, creare maggiore consapevolezza dell’identità di filiera tra gli attori, come anche dell’identità territoriale da valorizzare in chiave di origine dei prodotti, e sostenere l’avvio di forme di governance della filiera stessa.
Negli interventi di formazione agli agricoltori è stata sottolineata l’importanza di trattenere sul territorio valore aggiunto agricolo attivando in situ occasioni di trasformazione del prodotto. In tal senso l’incubatore previsto dal progetto con il laboratorio di trasformazione può certamente contribuire ad avviare analoghi investimenti da parte di altri soggetti del territorio, soprattutto se si indirizza il prodotto trasformato verso una produzione di qualità che possa guardare sia al mercato interno che a quello internazionale.