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Giocando si impara. La Cooperazione italiana e i campioni del calcio fanno squadra. Obiettivo: educare e includere

Con la firma di un accordo il calcio entra a buon diritto nei progetti educativi e di inclusione sociale a sostegno dei più giovani. Si parte con la Giordania


Giocando si impara a crescere. Anche fuori dal campo, nella vita quotidiana. È da questa intuizione pedagogica che parte l’intesa raggiunta dalla Cooperazione Italiana con l’Associazione Italiana Calciatori, complice il successo del progetto Avsi #Goal4Uganda rivolto ai bambini di uno slum di Kampala. La promozione del calcio come strumento di crescita del bambino è un modello educativo innovativo che, attraverso attività di formazione dei docenti locali, sosterrà anche la crescita delle comunità locali dove si realizzano i progetti di cooperazione.

Ma perché proprio il calcio? Perché i valori essenziali del gioco di squadra, e del calcio in particolare, mettono in pratica l’idea stessa del “cooperare” attraverso quelle azioni, indispensabili nei contesti di fragilità ed emarginazione, fondate su dialogo, integrazione, inclusione sociale e convivenza democratica. Lo sport di squadra infatti esercita tutte le abilità che servono a ottenere un risultato, rafforza il senso di appartenenza ed esercita la capacità di collaborare con gli altri per un obiettivo comune. Nel calcio viene subito in mente l’assist. Passare la palla a un compagno, per permettergli di fare goal, esercita l’altruismo che porta il bambino a contribuire al successo senza esserne il protagonista.

Tanti i comportamenti virtuosi sollecitati dalla pratica calcistica: dal rispetto delle regole del gioco all’accettazione degli errori senza cadere nella frustrazione e senza giudicare i compagni di squadra. E ancora capire che la Vittoria è da dividere tra tutti mentre bisogna imparare ad accettare la sconfitta perché lo sport è meritocratico e lo slogan “vinca il migliore” qui ha davvero un senso. In più il calcio è uno sport inclusivo perché ogni giocatore ha uno spazio definito dal suo ruolo paritario e ugualmente dignitoso rispetto a quello dei compagni. Un’inclusione che favorisce l’autostima perché ogni giocatore si sente importante per la sua squadra. Si tratta di una inclusione non solo sociale, ma anche economica. Il calcio è infatti uno sport popolare che non richiede attrezzature e spazi costosi. Tutti possono praticarlo e questo è un elemento importante quando si opera in contesti di lotta alla povertà.

A livello identitario poi con il calcio l’Italia “valorizza così una delle sue eccellenze”. Lo ha detto il direttore dell’Aics, riferendosi a esperienza, professionalità e creatività del calcio italiano riconosciute a livello mondiale. “Avvicinare il mondo del calcio alla cooperazione allo sviluppo è un modo di aprire in concreto ad iniziative e progetti per una migliore educazione di ragazzi che vivono in situazioni di disagio. Il calcio italiano è un’eccellenza e può essere un veicolo per raccontare la cooperazione allo sviluppo e far passare i suoi messaggi e i suoi valori oltre il mondo degli addetti ai lavori. Questo può essere molto prezioso per noi”.

Al via dunque il progetto in Giordania, rivolto ai giovani rifugiati siriani e giordani, che è stato presentato il 25 febbraio scorso nello stadio di Aqaba. Ma l’auspicio, ha affermato Maestripieri, è che “questo tipo di iniziative sia accolto in tutte le aree dove realizziamo attività di sostegno ai minori”.

Lo Youth-Led Football Program (nell’ambito del progetto Safe II) sarà articolato in tre moduli: una prima settimana in presenza, dove i coach Aic formeranno i tecnici locali nei villaggi sede di progetto. Una seconda settimana di confronto fra coach locali e coach Aic che avverrà tramite una piattaforma di e-learning in collaborazione con il corso di laurea in Scienze Motorie Calcio dell’università San Raffaele di Milano. Infine nella terza settimana i due team di formatori valuteranno direttamente “sul campo” l’efficacia delle attività realizzate dai coach locali con i ragazzi.
La firma dell’accordo si è tenuta alla presenza di Elisabetta Belloni, Segretario Generale della Farnesina, che nel suo saluto di apertura ha richiamato i valori universali dello sport, ma anche il diritto all’infanzia spesso negata per i bambini che vivono nelle aree di crisi. “Questa iniziativa ci permette di coniugare le attività proprie della Cooperazione con la possibilità di consentire ai bambini in contesti fragili di riappropriarsi della propria infanzia”. Un diritto irrinunciabile dunque, ribadito da illustri esperti di psicologia dello sviluppo come Anna Oliverio Ferraris: si gioca per imparare a vivere.

Il protocollo di intesa è stato firmato il 19 febbraio scorso in Farnesina da Luca Maestripieri, direttore Aics, Giorgio Marrapodi, direttore generale della Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo del Maeci e dal presidente Aic (Associazione Italiana calciatori) Damiano Tommasi.
Erano presenti anche Giampaolo Silvestri, segretario generale della Ong Avsi (partner tecnico) e i calciatori Simone Perrotta e Gianluca Zambrotta.
L’evento è stato presieduto dall’Ambasciatrice Elisabetta Belloni, Segretario Generale della Farnesina

 

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