Il ruolo dei Comuni nella cooperazione: intervista ad Antonio Ragonesi
Oltremare ha incontrato Antonio Ragonesi, membro del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo sviluppo e Capo Area Relazioni internazionali, Sicurezza, Legalità e Diritti civili, Servizio Civile e Pari Opportunità, Rischi ambientali e Protezione civile dell’ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Nella seconda edizione di Coopera, la Conferenza Nazionale della Cooperazione italiana conclusasi a fine giugno, è emerso come il ruolo cruciale del territorio sia cresciuto in questi ultimi anni dimostrando la centralità dei Comuni e dei cittadini nel sistema italiano di cooperazione. A Ragonesi abbiamo chiesto quale ruolo strategico vede per i Comuni e per Anci nella Cooperazione italiana.
Innanzitutto Anci ha partecipato a Coopera anche in forza di oltre 183 interventi di cooperazione territoriale che i Comuni italiani hanno portato avanti negli ultimi sette anni, oltre 80 negli ultimi due anni, a dimostrazione di un incremento delle attività di proiezione internazionale dei territori con l’obiettivo di creare sviluppo. L’Anci, che è componente all’interno del Consiglio Nazionale Cooperazione allo Sviluppo, porta qui un’esperienza e un percorso specifico con alcune tappe realizzate “Verso Coopera” con specifici incontri informativi sul partenariato territoriale, cioè su quelli che sono gli obiettivi che la Legge 125 del 2014 ha posto agli enti territoriali per praticare attività di partenariato e quindi di interventi di cooperazione allo sviluppo internazionale, condivisi, concertati, strutturati con gli attori del territorio e con gli altri attori della cooperazione allo sviluppo. Si tratta di esperienze già avviate e su tutto questo stiamo raccogliendo le buone pratiche, osservando le attività che si sono realizzate e cercando di migliorare e prospettare nuovi interventi con nuove finalità e nuovi appuntamenti. Ovviamente Coopera ha rappresentato anche un momento non solo di partecipazione ma anche di accountability per capire quello che è stato fatto e come migliorare nell’attività per il futuro.
Qual è l’esempio più rappresentativo di quello che è già stato fatto fino ad oggi dai Comuni italiani?
L’Anci ha avviato dal 2018 un programma partecipativo per i Comuni italiani denominato “Municipi senza frontiere” e condiviso con Maeci e Aics. I Comuni italiani, attraverso seminari e incontri con i loro funzionari e dirigenti, sostengono e danno supporto alle amministrazioni locali di Paesi terzi nell’erogazione dei servizi verso i cittadini. Una realtà già avviate con le municipalità del nord est della Siria, nel Kurdistan iracheno, con le città delle Libia e della Tunisia.
Si tratta di condividere anche buone pratiche nei servizi di base come per esempio illuminazione pubblica, acqua, raccolta dei rifiuti, bonifiche, sostenibilità ambientale, energie rinnovabili e servizi amministrativi tipici come l’anagrafe e il bilancio municipale per sostenere il decentramento amministrativo. Crediamo che la chiave per lo sviluppo locale passi innanzitutto dal rafforzamento dei servizi delle città. In questo momento stiamo continuando a sostenere le attività nei confronti delle municipalità libiche, che stanno attraversando da tempo una crisi importante, e siamo riusciti a promuovere l’idea che le comunità libiche e le città libiche si mettessero insieme, attraverso una sorta di “Anci libica”, come strumento di coesione e di maggiore influenza per il decentramento amministrativo nella interlocuzione con l’Autorità centrale libica e come strumento anche di confronto, sempre legato all’obiettivo di migliorare i servizi verso i cittadini. In tal senso, pochi mesi fa a Siracusa nell’ambito di una conferenza che ha visto la partecipazione di oltre 25 Sindaci libici, il Presidente del Consiglio Nazionale dell’ANCI Enzo Bianco ha sottoscritto un MoU con la nascente Associazione dei Consigli municipali libici con il portavoce e sindaco di Zliten. E’ un primo passo nella giusta direzione.
La cooperazione del territorio è certamente più vicina al cittadino, questo a suo avviso può tradursi in una maggiore incidenza sull’opinione pubblica e sulla capacità di cambiare “dal basso” l’approccio e i comportamenti dei cittadini italiani?
Sicuramente il tema della prossimità è il tema dei prossimi anni in tantissimi settori di intervento e anche cooperazione allo sviluppo affinché possa essere più “popolare”, nel senso di un maggiore coinvolgimento diretto e partecipazione dei cittadini. Il protagonismo delle città, dei sindaci e degli enti locali rappresenta una straordinaria chiave per riuscire ad avvicinare gli obiettivi dell’Agenda 2030 ai cittadini, ma anche per una programmazione più condivisa con gli attori della cooperazione allo sviluppo. L’offerta di occasioni di partecipazione ha ampliato la possibilità di costruire collaborazioni, partenariati non solo con le organizzazioni della società civile accreditate presso l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, ma anche con le piccole realtà associative, alle imprese private, alle reti datoriali e sindacali, che vogliono iniziare a porsi l’obiettivo di contribuire a creare sviluppo attraverso interventi di cooperazione con le città.
Le città e i sindaci hanno poi il contatto diretto con la rete delle diaspore e con i migranti che si inseriscono nella vita democratica della città: c’è qualche caso di successo che vuole ricordare?
Sì, non a caso vi sono già circa sei interventi in corso o appena conclusi promossi dai Comuni italiani che coinvolgono le diaspore. Penso ad esempio all’intervento del Comune di Rimini in Senegal, che coinvolge direttamente la diaspora senegalese così come al coinvolgimento del Comune di Torino e di Milano con i medesimi obiettivi.
Ci sono tanti esempi positivi però in particolare ci tengo a citarne due, una di medie dimensioni e una più piccola. Perché non ci sono solo le grandi città, ma anche tante altre piccole realtà attive sul territorio. Vorrei citare il caso di Parma perché ha tradotto in termini concreti quello che la legge 125 intende come partenariato territoriale. Parma ha dato vita a una start up che si chiama “Parmaalimenta”, totalmente pubblica, fondata dal Comune di Parma e dalla Provincia di Parma ed ha messo insieme diversi soggetti del territorio per realizzare in Burundi, a Bujumbura, una vera filiera della coltivazione del pomodoro: dalla produzione alla trasformazione del pomodoro e quindi non solo ha creato una start up in Italia, ma anche occasioni di lavoro e cooperative nella città di intervento: Bujumbura. Sempre guardando agli obiettivi dell’Agenda 2030 si sono fissate anche delle quote di genere per le persone che hanno trovato nuovo lavoro all’interno di questa attività. Si è creato sviluppo creando valore sia nel territorio dove si sta operando, Bujumbura, ma anche a Parma. Questo partenariato territoriale ha messo insieme il privato sociale specializzato (OSC), le aziende private che hanno le competenze e il territorio di Parma che ha certamente la vocazione della sicurezza alimentare. E poi le reti: la CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccole e Media Impresa), la Legacoop si sono messe insieme per raggiungere un obiettivo comune, con una partecipazione positiva. È stata creata Maison Parma a Bujumbura ed è stata già avviata l’attività e la filiera del pomodoro. Credo che rappresenti uno dei migliori interventi d’impatto per capire che cosa si intende quando una città vuole creare sviluppo attraverso un intervento di cooperazione efficace e sostenibile nel tempo.
Un’altra realtà che vorrei citare è Fano, un piccolo comune che si è cimentato in Tunisia anche lì per la valorizzazione dei prodotti tipici tunisini. In quel caso si parla di trasformazione in olio ed essenze e quindi della realizzazione di un prodotto trasformato, attraverso l’utilizzo di cooperative di giovani donne. Anche qui i risultati sono stati estremamente interessanti a dimostrazione che anche i comuni di minori dimensioni demografiche sono in grado di costruire importanti reti positive con i soggetti del sistema della cooperazione italiana.
Da non dimenticare poi una partnership importante per tutti i Comuni, che è quella con il mondo dell’università. In tutti questi interventi infatti c’è sempre il contributo attivo dell’università italiana, un’eccellenza che garantisce una cornice tecnico-scientifica di metodo e che permette di sviluppare in maniera coerente e ordinata le varie attività. Così come a Parma è coinvolta l’Università del territorio, anche nel caso di Fano c’è appunto il coinvolgimento dell’Università di Urbino.
A questo punto l’ultima sfida sarà quella del mondo del profit a cui guarda con grande attenzione anche la cooperazione governativa e su cui bisogna ancora lavorare molto. Per coinvolgere sempre di più le imprese presenti sul territorio, quale sarà la strategia a breve termine dell’Anci?
Intanto il CNCS Consiglio nazionale cooperazione allo sviluppo ha fatto propria la proposta avanzata e formalizzata dal Presidente Enzo Bianco, dando vita al 5 Gruppo di Lavoro dedicato al Partenariato territoriale e ANCI è stata riconosciuta dai membri del CNCS come coordinatore del gruppo. Questo significa già che il tema della prossimità e della sussidiarietà è riconosciuto come centrale negli interventi che si sviluppano dal basso. Si tratta adesso di individuare criteri e modalità che possano favorire il dialogo strutturato a livello territoriale, inclusivo, partecipativo, multi attore che permetta all’ente locale di essere soggetto responsabile del partenariato e agli attori di avere chiaro strumenti, obiettivi e responsabilità. In altri termini, si tratta di riuscire a condividere la programmazione e anche pezzi di progettazione con il territorio per interventi di cooperazione allo sviluppo, comprese le imprese private come abbiamo visto nella esperienza di Parma e attraverso azioni di sistema condivise.