Intervista a Steve Killelea
Steve Killelea ha sempre desiderato pesare il significato di pace del mondo. «Se possiamo quantificarla possiamo capirla», è il suo motto. Australiano, imprenditore di successo nel mondo dell’informatica, guru del business a solo 30 anni, nel 2007 ha creato l’Institute for Economics & Peace (IEP), un think tank globale con sede an Sydney, Australia e sedi New York City, Mexico City e l’Aia The Hague. Il lavoro più noto dello IEP è l’Indice della Pace Globale, un testo di riferimento nel mondo della diplomazia, della cooperazione e dei think tank di tutto il mondo, che ha proprio lo scopo di misurare gli impatti della violenza e delle guerre in 162 paesi del mondo. Realizzato in collaborazione con un équipe internazionale di esperti di pace da istituti e da think tank su dati forniti e rielaborati dall’Economist Intelligence Unit, società di ricerca e consulenza che fornisce analisi sulla gestione di stati e aziende, il GPI (acronimo inglese di Global Peace index) è uno strumento tra più usati per capire il valore della pace. «Ne sono molto fiero», spiega Steve Killelea che ha sempre immaginato uno strumento quantitativo per capire un fenomeno complesso come la pace. A ragione: l’indice è approvato da personalità quali Kofi Annan, il Dalai Lama, l’ex Presidente finlandese Martti Ahtisaari, Muhammad Yunus e l’economista Jeffrey Sachs, l’ex Presidente irlandese Mary Robinson, l’ex Presidente USA Jimmy Carter.
Cosa fa oggi a capo del IEP, mr. Killalea?
Lavoriamo su sempre nuovi indici per misurare il livello di conflitto e di pace. Oltre l’Indice della Pace Globale, realizziamo il Global Terror Index per capire geografie e dinamiche del terrorismo locale e globale e alcuni report nazionali come il Mexican Peace Index per comprendere meglio fenomeni come le narcomafie. L’Indice della Pace Globale (GPI) è un costante tentativo di classificare gli stati e le regioni secondo fattori che ne determinino lo stato di pacificità o la tendenza di un determinato paese a essere considerato pacifico. La lista è stata pubblicata per la prima volta nel maggio 2007 e in seguito ogni maggio o giugno successivo. Posso affermare che il nostro è primo studio di classificazione di stati secondo i relativi tassi di pacificità.
Quanto pesa la Guerra in termini economici?
Le nostre ricerche mostrano che nel 2016 la violenza è costata 14,3 trilioni di dollari o il 12,6% del PIL mondiale. Mentre ancora incredibilmente alto, (circa $ 1,953 nda) il costo per ogni persona nel mondo è leggermente diminuito (3%) dal 2015 e la prima riduzione dal 2011. In media, la violenza rappresenta il 37% del PIL nei dieci paesi meno pacifici, rispetto a solo il 3% per i dieci più pacifici. La Siria rimane il paese meno pacifico anche nel 2017, avendo perso 64 posizioni dall’inizio dell’indice
Durante I dodici anni di pubblicazione dell’Indice quali mutazioni ha notato?
Indubbiamente tra tutte le cose che sono peggiorate, abbiamo notato un forte aumento dei livelli di terrorismo. Quello globale ad esempio è aumentato di quasi il 250%. Le guerre e il terrorismo hanno costretto oltre 65 milioni ad abbandonare le proprie case. I conflitti intestini hanno visto un aumento dei profughi di oltre il 700%. In totale novantatré paesi sono diventati più pacifici contro sessantotto che sono diventati “meno pacifici”. Il 67% dei paesi ha visto una riduzione degli omicidi, un dato questo molto positivo. Un altro dato interessante: nel 2017 ben il 65% dei paesi ha ridotto le proprie spese miliari.
Quali fattori influenzeranno la pace nei prossimi vent’anni?
Indubbiamente continueranno a pesare le relazioni geopolitiche tra USA e altri paesi, l’emergenza della Cina come potenza militare, con una capacità crescente di spesa in armamenti. Indubbiamente i fattori ambientali più importanti saranno il cambiamento climatico, la crescita di popolazione e forme d’inquinamento molto impattanti, incluse le microplastiche. Inoltre si devono considerare anche le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale che avrà un peso sul lavoro e sulla sicurezza di vari paesi. Rimarrà fondamentale l’impegno di creare e sostenere una società pacificata. Noi vediamo che anche nel mondo occidentale ci sono stati peggioramenti: basta vedere il sentiment nei confronti di Musulmani, immigrati, la percezione negativa dei soggetti governativi.
Le agenzie di cooperazione e le ONG giocheranno un ruolo chiave nel fornire strumenti per preservare la pace sociale. Quali strategie perseguire?
Serve una distribuzione equilibrate delle risorse economiche, bisogna combattere la corruzione e favorire la cooperazione tra gruppi etnici e stati. E’ difficile però scegliere un ambito prioritario: ogni abito si rinforza a vicenda. Serve una visione olistica del problema. E bisogna guardare a lungo termine
Uno dei risultati più interessanti dell’Indice del 2017 è la diminuzione delle spese miliari. Crede sia una tendenza o solo una contrazione da congiuntura?
E’ un trend che perdura da molto tempo, ci sono alcune nazioni che hanno aumentato la spesa militare, ma la maggioranza dei paesi sta tagliando le spese militari dal proprio budget. Le guerre sono costose. In USA le campagne in Medio Oriente sono costate cinque mila miliardi di dollari. Dove avrebbero potuto spendere quei soldi?
Qual è il segreto del successo dell’Indice della Pace Globale?
La ragione per cui ha riscosso tale successo tra organizzazioni e governi è la questione che sottende l’essenza stessa dell’Indice: se non possiamo misurare la pace come possiamo capirla e capirne le dinamiche? Senza una misurazione chiara altrimenti non capiamo se le azioni intraprese stanno veramente avendo un effetto virtuoso e quindi stanno servendo per creare un mondo più pacifico. Possiamo fare decisioni più cogenti. Altre discipline misurano un fenomeno per comprenderlo. Inoltre è un documento la cui metodologia evolve ogni anni, facendo piccoli aggiustamenti correttivi, senza perdere la possibilità di confrontare anni differenti.