L’ONU, per l’Italia un investimento fondamentale per gli interessi nazionali
L’Ambasciatrice Zappia a Oltremare racconta i suoi primi setti mesi al Palazzo di Vetro, le battaglie avviate e l’ambizione di contribuire ad una riforma profonda dell’Organizzazione. Un excursus a 360 gradi.
Ha iniziato il suo mandato, il 31 luglio 2018, con idee chiare e obiettivi ambiziosi: “”Il multilateralismo è nel DNA dell’Italia; il dialogo ne è lo strumento e intendo usarlo con determinazione, energia e guardando avanti”. Un impegno che l’Ambasciatrice Mariangela Zappia, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’Onu a New York, ha portato avanti in questi sette mesi estremamente impegnativi. Nell’organismo sovranazionale più rappresentativo al mondo, l’Ambasciatrice Zappia pota con sé una esperienza diplomatica di oltre trent’anni, e un lavoro di ricerca con la pubblicazione di suoi contributi sulla riforma del Consiglio di Sicurezza e sul contributo italiano alle operazioni di peacekeeping dell’Onu. Al Palazzo di Vetro, è arrivata dopo aver svolto le funzioni di Consigliera Diplomatica e Sherpa G7 – G20 del Presidente del Consiglio dei Ministri (2016 – 2018). È stata la prima donna in Italia a rivestire questo ruolo, nonché a ricoprire la carica di Rappresentante Permanente presso il Consiglio Atlantico (NATO) a Bruxelles e le Nazioni Unite. A Ginevra Zappia è stata Capo Delegazione dell’Unione Europea presso le Nazioni Unite e Ministro Plenipotenziario presso la Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite. Ha poi svolto l’incarico speciale di coordinatrice durante la Presidenza italiana G8 del 2009, sui temi della violenza di genere, donne, pace e sicurezza. Nel 2007 era Capo Ufficio Mediterraneo, Medio Oriente e Balcani della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero per gli Affari Esteri. Aree calde e temi scottanti: un bagaglio di esperienze e di conoscenze preziosissimo nel prestigioso incarico attualmente ricoperto. Con quali prospettive e priorità, l’Ambasciatrice Zappia ne parla in questa intervista concessa a Oltremare.
C’è chi sostiene che l’Onu è un retaggio del passato, inservibile per governare un mondo segnato da tensioni, conflitti, crescenti disuguaglianze. Partendo dalla sua esperienza diretta, come inquadra il presente e s’immagina il futuro delle Nazioni Unite?
Il multilateralismo resta la dimensione essenziale in cui affrontare le sfide globali, sfide che nessuno Stato o gruppo di Stati può essere in grado di affrontare da solo – dal cambiamento climatico al crimine organizzato transnazionale, dall’insicurezza alimentare al fenomeno migratorio. Lo ha ricordato in molte occasioni il Presidente Mattarella, richiamando i valori fondanti della nostra Costituzione ed evidenziando che le regole dell’ordine multilaterale, che abbiamo costruito sulle ceneri di due Guerre Mondiali, possono essere aggiornate o sostituite ma non rimosse. Le Nazioni Unite sono uno strumento sicuramente perfettibile, che va svecchiato, ma è anche il migliore di cui disponiamo. Per questo l’Italia ha sempre sostenuto l’esigenza di una riforma profonda dell’Organizzazione. Oggi, su impulso del Segretario Generale Guterres, questa riforma è stata avviata. L’Italia ne condivide gli obiettivi di fondo e ne sostiene l’attuazione. Occorrerà tempo, determinazione e collaborazione da parte di tutte le componenti del sistema ONU e degli Stati membri. Puntiamo ad avere un’organizzazione più snella, efficiente, trasparente, in grado di rispondere a scenari sempre più complessi in maniera flessibile, massimizzando le risorse a sua disposizione e minimizzando l’impatto sul terreno. Un’organizzazione sostenibile, che dia l’esempio nell’attuazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 e che continui a rappresentare la stella polare degli sforzi per la pace e la sicurezza internazionali. Ovviamente le Nazioni Unite non possono fare tutto da sole: il modello a cui guardiamo è quello di un multilateralismo strutturato, fondato sull’articolazione di partenariati sempre più solidi con le organizzazioni regionali e sub-regionali e con gli attori della società civile, a cominciare da giovani e donne, la cui partecipazione attiva nei processi di pace e sviluppo è imprescindibile.
L’Italia è tra i principali Paesi contributori dell’Onu, in particolare nel campo delle missioni estere ma non solo. E’ un investimento fruttuoso anche per gli interessi nazionali?
È un investimento fondamentale in primo luogo e soprattutto per gli interessi nazionali. Quello che sosteniamo con forza in ogni sede multilaterale è che pace, sicurezza e sviluppo rappresentano obiettivi comuni e comportano responsabilità condivise. Nessuno Stato deve essere lasciato solo ad affrontare fenomeni per cui servono risposte collettive, sistemiche e coordinate. Investire nelle Nazioni Unite significa difendere con coerenza questa impostazione. Partecipiamo attivamente ai negoziati che vengono condotti in seno all’Organizzazione ed alle sue attività per tutelare l’interesse nazionale in ambiti che hanno un impatto diretto sulla sicurezza e il benessere dei nostri cittadini. Penso al settore della nutrizione dove grazie all’impegno di tutto il Sistema Italia abbiamo difeso con successo, anche in occasione dei recenti negoziati a New York sulle malattie non trasmissibili e su alimentazione e salute globale, le caratteristiche dei nostri prodotti e la dieta mediterranea. L’Italia svolge un ruolo di primo piano nelle operazioni di pace, in cui ci distinguiamo per la professionalità e capacità dei nostri caschi blu e che ci permette di contribuire alla stabilizzazione di aree strategiche per la sicurezza e la stabilità del nostro Paese e dell’Europa, come il Medio Oriente, il Mediterraneo, il Sahel. Ricordo, in particolare, il Libano dove l’Italia è alla guida della missione UNIFIL e l’hub delle Nazioni Unite a Brindisi, che assicura sostegno logistico alle missioni di pace in tutto il mondo. Come il Ministro Moavero Milanesi ha sottolineato in occasione della nostra elezione al Consiglio Diritti Umani per il mandato 2019-2021, il nostro intenso impegno per la tutela dei diritti umani – pilastro dell’ordinamento giuridico della Repubblica e cardine della politica estera italiana – ci viene riconosciuto e apprezzato dalla comunità internazionale e ci ha reso un punto di riferimento per gli altri paesi alle Nazioni Unite. Siamo in prima fila anche nel settore dello sviluppo. Non a caso siamo il Paese che ospita il polo agroalimentare delle Agenzie ONU (FAO, IFAD, WFP) a Roma, con cui abbiamo una collaborazione strettissima alla luce del tradizionale e costante impegno della Cooperazione italiana nella lotta alla povertà e all’insicurezza alimentare e per la promozione di uno sviluppo rurale sostenibile fondato sul modello italiano. Il nostro settore privato può portare all’ONU modelli virtuosi e innovativi di allineamento alle priorità dell’Agenda 2030. Gare e appalti regolarmente banditi dall’ONU offrono inoltre opportunità importanti per le nostre aziende, che possono fornire beni e servizi altamente specializzati e tecnologicamente avanzati soprattutto nel settore del peacekeeping.
Da tempo si parla di una riforma del massimo organismo decisionale dell’Onu: il Consiglio di Sicurezza. L’Italia, con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha rilanciato la suggestione di un seggio permanente dell’Europa. E’ una battaglia che può avere un futuro.
Deve avere un futuro. Al di là della realizzabilità di un seggio europeo, ciò a cui non dobbiamo ne’ possiamo rinunciare è una riforma che renda il Consiglio di Sicurezza più democratico, rappresentativo, responsabile, efficiente e trasparente, che rifletta meglio le attuali dinamiche internazionali. Nel quadro del negoziato intergovernativo che si svolge al Palazzo di Vetro, l’Italia continua a lavorare, come coordinatore del Gruppo “Uniting for Consensus”, per ampliare le aree di convergenza ed arrivare a una soluzione il più possibile condivisa. Tutti riconoscono l’esigenza di una maggiore rappresentatività per i gruppi regionali oggi sottorappresentati, a partire dall’Africa, ed un numero sempre più ampio di Stati membri ritiene opportuna l’abolizione o la limitazione del diritto di veto. L’unica via per ottenere questo risultato è un allargamento dei membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza. Incrementare le posizioni di privilegio renderebbe questo organo ancora più elitario e inefficiente, ingessandone i meccanismi decisionali. La proposta del Gruppo “Uniting for Consensus” è la migliore base per sbloccare il negoziato e consentire passi in avanti concreti. E’ l’unica formula da cui tutti trarrebbero un miglioramento delle rispettive posizioni, inclusi quei Paesi che aspirano ad esercitare responsabilità maggiori e che potrebbero candidarsi sui seggi di lunga durata introdotti dalla nostra proposta. Inoltre, essa assicura una più ampia rappresentanza per tutte le aree geografiche – inclusa l’Europa – ed offre maggiori opportunità a tutti gli Stati, anche i più piccoli, di sedere a rotazione in Consiglio di Sicurezza. Più Stati europei potranno servire assieme in questo organismo, più forte sarà la voce dell’Unione Europea sulle principali questioni relative alla pace e alla sicurezza internazionali. L’esperienza del nostro mandato 2017-2018, condiviso con i Paesi Bassi, ha dato prova della validità di questo approccio. E’ stata una scelta fatta in nome dello spirito europeo e che ha consolidato le fondamenta da cui sviluppare ulteriormente la collaborazione e l’unità d’azione tra i partner europei in Consiglio di Sicurezza.
Le Nazioni Unite non sono solo il Consiglio di Sicurezza o l’Assemblea Generale, ma le tante agenzie che operano in campi cruciali, come quelli dell’infanzia, dell’alimentazione, dei rifugiati, della cultura, dei diritti umani e altri ancora. Ritiene che l’opinione pubblica sia correttamente informata di questa poliedrica attività o esiste un deficit di comunicazione da colmare?
Quello della comunicazione è un aspetto fondamentale. Manca ancora una consapevolezza effettiva della sua importanza: le Nazioni Unite e gli Stati membri dovrebbero fare di più per spiegare alle persone il ruolo e le attività dell’Organizzazione. L’ONU non è solo il Palazzo di Vetro. Come ogni macchina ha un suo apparato burocratico – che la riforma in corso di attuazione mira a snellire – ma è soprattutto un’organizzazione che opera sul terreno, con un impatto capillare e diffuso in tutto il mondo sulla vita quotidiana delle persone e con esperienza e capacità d’intervento impareggiabili. L’impegno di Agenzie, Fondi e Programmi ONU nei settori dell’aiuto umanitario e dell’assistenza allo sviluppo ne sono l’esempio più concreto. Il deficit di comunicazione esiste e va colmato: ne gioverebbe in primo luogo la credibilità delle Nazioni Unite, riducendo il divario, la disaffezione verso il multilateralismo cresciuti in questi anni. Le Nazioni Unite possono fare il primo passo per riavvicinarsi alla società civile, da un lato informandola in modo più efficace, dall’altro aprendosi ai suoi input per capirne meglio le esigenze e le aspettative. C’è una dimensione sostanziale sottesa agli aspetti comunicativi che non va sottovalutata: comunicare significa anche coinvolgere, incoraggiare a una partecipazione attiva. Se vogliamo vincere sfide come quella dello sviluppo e della mitigazione del cambiamento climatico è necessario che ognuno, quotidianamente, comprenda quanto alta sia la posta in gioco e si adoperi per raggiungere i traguardi che ci siamo prefissati. Agenda 2030 e Obiettivi di Sviluppo Sostenibile non sono solo slogan, dietro ci sono comportamenti, stili di vita da adottare consapevolmente: per questo il contributo di ciascuno è fondamentale.
Lei si è impegnata in prima persona nella lotta per il diritto alla salute delle donne. Quale bilancio può trarre in questo ambito e cosa, a suo avviso, dovrebbe essere fatto di più?
La battaglia per i diritti umani, e in particolare per quelli delle donne, è un tratto caratterizzante della nostra politica estera. L’Italia è stata la prima a portare certi temi alle Nazioni Unite. Ricordo tra tutti la lotta alle mutilazioni genitali e ai matrimoni precoci e forzati. Abbiamo raggiunto risultati molto importanti grazie anche, voglio sottolinearlo, al contributo e al sostegno che la società civile italiana ha sempre assicurato all’azione della nostra diplomazia. C’è ancora molto da fare e per questo continuiamo a sollevare queste tematiche in ogni sede rilevante. E’ fondamentale inoltre, come la Cooperazione italiana fa sistematicamente, investire in programmi di iniziative di sviluppo che integrino la dimensione di genere e puntino a coinvolgere le donne in ogni aspetto della vita politica, sociale, economica, culturale delle loro società. Abusi e violazioni dei loro diritti vanno prevenuti e puniti, le vittime assistite e reintegrate. Ma non possiamo limitarci a questo: per sradicare il problema, serve un profondo cambiamento culturale a favore della parità di genere. Dobbiamo impegnarci a diffondere una cultura del rispetto e della pari dignità, partendo dall’istruzione e garantendo alle donne pari possibilità di partecipare ed incidere concretamente sui processi decisionali in ogni settore.