Etiopia, nella patria del caffè per valorizzare il lavoro dei piccoli contadini in un progetto che vede insieme Aics, Unido e Illy
Il profumo del caffè riesce ad attutire anche il rumore prodotto dalle macchine, un profumo allo stesso tempo familiare e insolito. Così come l’aroma della bevanda preparata per l’occasione, un aroma quasi fruttato, anch’esso familiare e insolito. D’altra parte, passeggiando per lo stabilimento della Eliana Coffee, alla periferia di Addis Abeba, tutto suona allo stesso tempo conosciuto e nuovo. “È il segreto del caffè – racconta Fitsun Bekere, giovane agronomo specializzatosi a Trieste, al master in Economia e scienza del caffè-Ernesto Illy – quello di riuscire a creare familiarità, quasi complicità tra un gruppo di persone, sedute attorno a un tavolo”.
Fitsun ora segue un progetto finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e realizzato in collaborazione con la Fondazione Ernesto Illy, Unido e la Ethiopian Coffee and Tea Development and Marketing Authority, l’organismo governativo preposto a questo particolare settore. Il progetto prevede un’azione mirata al rafforzamento della filiera del caffè su tre livelli: dai produttori di due zone in particolare (Sidama e Bale) alla lavorazione e commercializzazione, alle istituzioni.
“Lo scopo del progetto – racconta Isabella Rodriguez y Baena, coordinatrice tecnica per Unido – è di agire innanzitutto sul piano dei piccoli produttori e delle cooperative, fornendo formazione, nuove varietà di piante e contribuendo poi al rinnovamento dei mezzi a disposizione e dei centri di essiccamento del caffè. Dalla produzione passiamo quindi alla valorizzazione della filiera, con il sostegno diretto alla Sidama Coffee Farmers Cooperative Union, nella regione di Oromia, e alla Burka Yadot Cooperative Union, che si trova nella regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud”. Una filiera che giunge fino all’associazione dei torrefattori di caffè, dove la collaborazione si estende alla comunicazione, al marketing, alle strategie di sviluppo del business. L’ultimo anello – spiega ancora la rappresentante di Unido – riguarda il livello istituzionale, dove ci sono canali aperti con la Ethiopian Coffee and Tea Development and Marketing Authority per lo stabilimento di una piattaforma nazionale in grado di portare a uno stesso tavolo i vari attori della filiera e per la creazione di un Coffee Training Centre ad Addis Abeba in partnership con illycaffè e sul modello dell’Università del Caffè di Trieste.
A finanziare e a credere fin dall’inizio in questo progetto dal significato ancora più chiaro se solo si pensa al posto che la coltura del caffè ha nella storia e nell’economia dell’Etiopia, è l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. “In Etiopia l’agricoltura impiega circa l’80% della forza lavoro, contribuendo al pil per oltre il 40%; in questo contesto il caffè rappresenta una risorsa fondamentale, costituisce il più grande merchandise export (26%), il più grande generatore di valuta estera e coinvolge direttamente e indirettamente circa 20 milioni di persone” spiega Ginevra Letizia, titolare dell’ufficio Aics di Addis Abeba. “Il fatto poi che l’Etiopia – aggiunge Ginevra Letizia – sia il centro di origine della caffè arabica conferisce al settore alcune peculiarità: il caffè cresce ancora in diverse aree forestali e semi forestali, il 95% della sua produzione è attribuita a piccoli agricoltori che per lo più non fanno uso di prodotti chimici e che quindi portano avanti un’agricoltura di fatto biologica che potrebbe avere interessanti risvolti commerciali; il caffè è infine un prodotto di lunga tradizione in Etiopia, dove si consuma il 50% della produzione nazionale”.
Certo, è un consumo ancora legato molto alla tradizione, di caffè quindi non torrefatto. Eppure, nell’ottica di creare valore aggiunto, sono le stesse cooperative unions a muoversi in questo senso. “Quella di Sidama per esempio, che nello stabilimento di Addis Abeba è concentrata sulla selezione dei chicchi di caffè, separando quelli da esportare da quelli destinati al mercato locale, ha approntato uno spazio dove a breve saranno installati i macchinari per la torrefazione” dicono Benedetta Camilli e Andrea Ghione, agronomo e senior economist di Aics Addis Abeba, mentre un solerte impiegato in camice bianco ci accompagna lungo le varie fasi di lavorazione dello stabilimento.
Creare valore aggiunto e instaurare una collaborazione che vada a reciproco vantaggio è uno dei cardini del progetto anche secondo il punto di vista del partner privato dell’operazione, illycaffè e Fondazione Ernesto Illy, che tra le altre cose ha offerto borse di studio perché giovani laureati etiopi, come Fitsun, possano seguire il master di Trieste e portare poi sul campo quanto appreso.
“Ci siamo avvicinati a questo progetto innanzitutto per tornare a una condizione del passato ovvero alla completa tracciabilità del caffè” spiega Luca Turello, capo del settore agronomo di illycaffè e assistente tecnico nel progetto. “È infatti un peccato non poter lavorare con produttori selezionati, perché facendolo possiamo invece avere un impatto positivo in termini di trasferimento di plusvalore. L’altro obiettivo è ovviamente quello di avere un buon caffè etiopico”. E sull’importanza di rafforzare la filiera del caffè, Turello specifica: “Se vogliamo che il caffè sia parte di un’economia positiva bisogna che ci sia una compenetrazione della filiera. Esistono problemi legati, per esempio, al contrabbando di caffè, che va al mercato nero sia locale sia a quello dei Paesi vicini, o c’è concorrenza di coltivazioni come il khat: in alcune aree hanno espiantato il caffè per fare posto al khat. Ma tutto questo si combatte proprio lavorando a una organizzazione della filiera. Se la filiera è organizzata e più trasparente possibile allora è più facile accedere al mercato internazionale e quindi favorire l’arrivo di valuta dall’estero. È nella confusione, nella non regolamentazione, nel non controllo che nascono tutti i problemi”.
Quanto alla collaborazione tra i vari soggetti coinvolti nel progetto, l’approccio imprenditoriale e operativo messo in campo da illy, secondo Turello, si è ben sposato con le dinamiche più proprie di partner come Aics e Unido. “Anche se all’inizio il dialogo è stato difficile, si sono create sinergie interessanti. Sono due modi di operare diversi ma senz’altro siamo riusciti a convergere: noi abbiamo imparato l’importanza di determinate relazioni istituzionali, loro probabilmente hanno appreso l’importanza dell’impostazione operativa sul campo. Queste due policy si sono incontrate e hanno dato buoni frutti”.