In Sudan la pandemia non ferma vaccinazioni infantili e lotta alla malnutrizione
Intervista a Dottoressa Fatima, coordinatrice delle attività sanitarie della ong Ovci La Nostra Famiglia nel Centro di salute di Dar es Salam
“Lo scorso marzo quel che abbiamo temuto è successo: anche in Sudan è arrivato il nuovo coronavirus. La vita delle persone più povere è sicuramente cambiata, ma forse non tanto per la paura del Covid-19 o dell’infezione, quanto per l’impossibilità di accedere ai servizi sanitari di base che già prima erano scarsi e ora sono quasi del tutto inaccessibili”.
Gli occhi della Dottoressa Fatima, coordinatrice delle attività sanitarie della ong Ovci La Nostra Famiglia, nonostante le difficoltà di questo periodo, riescono comunque a trasmettere l’energia di chi ce la mette tutta per mantenere aperto il Centro di Salute primaria dell’organizzazione aa Dar El Salam, in Sudan.
È stata la dottoressa che, ai primi segnali della pandemia, ha attivato presso il Centro un rigido protocollo di protezione per i lavoratori ed i pazienti introducendo stanze di attesa separate per coloro che mostravano sintomi respiratori, la misurazione della temperatura a pazienti e lavoratori e l’obbligo per tutti di lavarsi frequentemente le mani, indossare la mascherina e attendere il proprio turno rispettando le distanze.
“All’inizio non è stato facile neppure per i lavoratori del Centro che dovrebbero essere più informati sui rischi del virus – ricorda la dottoressa -. Chiedere ai sudanesi di non abbracciarsi e stringersi la mano quando si vedono o di stare lontani almeno un metro gli uni dagli altri durante il proprio turno è una richiesta culturalmente rivoluzionaria. Noi riusciamo a farla rispettare grazie anche al coinvolgimento della nostra preziosa Nimat: la responsabile dell’Unità Hiv, che da quando è iniziata la crisi sanitaria si dedica alla sensibilizzazione e controlla che le buone pratiche di prevenzione siano rispettate scrupolosamente. Abbiamo anche stampato dei foglietti illustrativi molto semplici nella speranza che le pazienti del Centro le portino a casa e le applichino anche lì” conclude Fatima.
Al momento il Centro è l’unico funzionante per le vaccinazioni infantili in un’area di oltre 800.000 persone. L’ospedale di Umbedda, primo centro di riferimento per la malnutrizione, così come altri centri sanitari, sono stati indirizzati alla risposta al Covid-19, cosa che sta mettendo a dura prova l’intera tenuta del sistema sanitario nazionale. “Nel corso delle ultime settimane abbiamo registrato un incremento fino al 2 per cento nel numero dei pazienti che fanno riferimento al servizio per le vaccinazioni infantili e per la cura della malnutrizione” dice la dottoressa. “Le nostre ostetriche e la nutrizionista stanno facendo un meraviglioso lavoro nel continuare le visite e nel sensibilizzare le mamme sui rischi del nuovo coronavirus. Proprio l’accesso al cibo è un aspetto di questa pandemia che mi preoccupa molto – prosegue – ogni mese riusciamo ad assistere un centinaio di bambini malnutriti. Di questi oltre un terzo presenta disabilità legate alla situazione di malnutrizione. Vengono distribuiti latte in polvere, integratori alimentari altamente proteici, ma soprattutto vengono formate le mamme sui principi di una corretta nutrizione. Le mamme capiscono, si interessano della salute dei propri figli, ma la buona volontà si scontra con il costo della vita: un chilo di fave, che sono l’alimentazione base per i sudanesi, si aggira intorno alle 500 sterline sudanesi: un’enormità se si pensa che molte persone qui guadagnano meno di 2,000 sterline sudanesi ogni mese. La chiusura di molte attività lavorative, soprattutto informali, e l’assenza di qualsiasi forma di protezione sociale, ha ulteriormente compromesso le entrate economiche di queste famiglie e questo ricade inevitabilmente sul budget disponibile per il cibo quotidiano”.
Fatima evidenzia che a fare le spese di queste condizioni “sono spesso i più piccoli che mangiano poco e male. Proprio la povertà economica delle famiglie è la più grande sfida alle misure governative di contrasto al Covid-19. Un’ alta cosa che mi preoccupa – aggunge la dottoressa – è la prossima stagione delle piogge che di solito coincide con un acuirsi di casi di malaria e di dissenteria acuta. Queste problematiche endemiche in Sudan uniti all’emergenza del Covid-19 sono potenzialmente un mix esplosivo”. F
Fatima conclude la sua intervista affermando che “I Sudanesi sanno trovare energia e speranza inaspettate nelle avversità e sono sicura che riusciremo a superare anche queste e ne usciremo ancora più forti, Inshallah!”.
l progetto “Disabilità e Sviluppo”, finanziato da Aics e realizzato dall’ong Ovci La Nostra Famiglia, si propone di contribuire allo sviluppo del sistema di welfare in Sudan attraverso un approccio globale verso la disabilità. Partendo dall’assunto che la condizione di disabilità si associa a povertà, esclusione, discriminazione, con pesanti ripercussioni sociali ed economiche, il progetto viene implementato in ottica multi- settoriale seguendo i cinque assi che compongono la matrice della Riabilitazione su Base Comunitaria: Salute, Educazione, Sostentamento, Sociale, Empowerment. L’azione ha come target specifico le popolazioni di Omdurman e Dar El Salam, alcune delle zone meno servite di Khartoum State. Qui le Persone con sisabilità fronteggiano una quotidiana esclusione dai servizi di base e dalla vita comunitaria. E’ proprio con l’intento di favorirne l’inclusione sociale e garantire al tempo stesso un sostentamento, che nasce anche l’attività di microcredito implementata all’interno del quadro progettuale Des.