SUDAN : la storia di Fatma, del villaggio di Tomosai
Negli ultimi 12 mesi una serie di concause hanno determinato un rapido deterioramento dei già precari livelli di sicurezza alimentare della popolazione sudanese. La parziale rimozione dei sussidi alimentari, la grave crisi economica e valutaria in corso, la scarsa disponibilità di carburante e l’inizio anticipato della stagione delle piogge hanno indebolito gravemente la produttività del settore agricolo. La produzione dei due cereali più consumati – sorgo e miglio – si è contratta del 40% rispetto al 2016 e parallelamente i prezzi sono più che raddoppiati1. A giugno 2018 è stato registrato un incremento pari al 63% rispetto all’ottobre 2017 nei livelli di insicurezza alimentare che riguarda 6,2 milioni di persone, che potrebbero diventare 10,5 nel caso l’attuale crisi economica non dovesse arrestarsi2.Particolarmente gravi sono le ripercussioni di tale situazione in età infantile; la forma di malnutrizione più diffusa in Sudan è lo stunting, di cui soffre il 38,2% dei bambini al di sotto dei 5 anni.Lo Stato del Red Sea (dove viene svolta l’intervista) è l’area del paese dove si concentra il livello più alto di malnutrizione materna (62% delle madri in alcune località), circa 23.000 bambini sono affetti da SAM, ed il 45.5% della popolazione al di sotto dei 5 anni ha problemi di crescita.
Il Sudan si posizione al 72° posto dei 76 paesi del Global Hunger Index (2014).
La testimonianza di Fatma Abdallah Barak, 25 anni, madre di 3 bambini del villaggio di Tomosai
Sudan orientale, Stato del Mar Rosso. Uno degli stati più poveri del paese, dove la malnutrizione infantile colpisce circa la metà dei bambini. Una vastissima area che costeggia il Mar Rosso, caratterizzata da un territorio interno montuoso ed arido, dove vivono le diverse tribù Beja1. Per raggiungere il villaggio di Tomosai è necessario uscire dalla strada principale ed affrontare un lungo tratto di pista in mezzo alla sabbia, fino a raggiunge un agglomerato di abitazioni locali costruite con rami d’albero e rivestite di teli. Come vuole la tradizione locale, ci sediamo insieme ad alcuni membri del villaggio su alcuni tappeti e beviamo un caffè in una tazza molto piccola ma satura di zucchero e con un forte sapore di zenzero. Lo zucchero, così come il latte e la carne di capra sono il cuore della loro dieta, la fonte di energia e di proteine che permette loro di affrontare una vita durissima in continuo movimento, in un territorio arso dalla siccità. Fatma (25 anni) è madre di tre bambini; suo marito si occupa di un piccolo gregge di 7 capre e 2 pecore e lavora anche occasionalmente come agricoltore cercando di produrre sorgo nelle vicinanze dal loro villaggio tra Sinkat e Port Sudan. Parliamo con Fatma e con la sua famiglia, mentre l’Omda2 Moussa e altri uomini del villaggio ascoltano con attenzione: parliamo delle difficoltà della vita quotidiana in un ambiente così inospitale e privo di risorse naturali, parliamo di quanto sia difficile garantire alla famiglia la disponibilità di acqua e cibo ogni giorno; ma nonostante tutto le tribù Beja vogliono restare nella loro terra, ed anche Fatma vuole continuare a vivere nei luoghi e con le persone che ha sempre conosciuto.
Cosa significa per te questo posto?
“Qui è dove sono nata, dove sono nati i miei figli, dove abito da sempre. Qui è dove ho imparato ad allevare le capre e a coltivare il sorgo. Non me andrei per nessun motivo anche se gli anni passati sono stati molto duri per le siccità e per la perdita del bestiame, ho rischiato anche di perdere il più piccolo dei miei figli perché era debole e ammalato, ed il cibo non era abbastanza per sfamare tutta la famiglia. È stato veramente un periodo difficile per noi e per tutta la comunità. E poi, dal nulla, [ridendo] siete arrivati voi del progetto italiano! Ci avete aiutato ad acquistare le capre e il foraggio. Prima ci erano morte tutte per la siccità. Le capre sono state di enorme beneficio per la mia famiglia e per tutta la comunità. Prima di perderle a causa della siccità dell’anno passato, ne avevamo sette dello stesso tipo3. Le capre sono parte integrante della nostra vita e alla base della nostra alimentazione e quella dei nostri figli. Quando ci avete aiutato ad acquistarle ci avete detto che erano state anche vaccinate per evitare che si ammalassero. Credo sia molto utile. Le abbiamo prese della stessa razza. Le nostre capre si chiamano Djebeli, e sono quelle che sono adatte per noi”.
A proposito di alimentazione, anche tu hai partecipato alla campagna da-madre-a-madre?
“Si certo! Nel mio gruppo eravamo 22 donne e la mia vicina di casa è la persona che ci ha introdotto e invitato a partecipare alla campagna di informazione. Ho scoperto tante cose che non sapevo; ho imparato molto circa l’allattamento al seno ed i primi sei mesi di vita dei bambini, su come tenerli puliti e come fare attenzione alla loro e alla nostra igiene. Abbiamo cucinato tante pietanze diverse, alcune nuove, altre arricchite per renderle più nutrienti. Ci hanno detto che ora il mulino è funzionante e si potrà andare a macinare il sorgo senza dover viaggiare fino al mercato di Sinkat. Erano due anni che non funzionava. Speriamo che quest’anno il raccolto sia abbondante. Grazie a agli italiani abbiamo ricevuto dei semi di sorgo, del tipo locale ma più resistente al clima come il nostro, vero? Speriamo…[sospirando] di avere da macinare e da mangiare per il prossimo anno. Con le altre ragazze del gruppo ci siamo dette che vorremmo cominciare un’attività insieme, magari cucire vestiti o preparare cose dolci per avere un piccolo guadagno. Potremmo venderli al mercato di Sinkat e magari poi comprare altro li. Non possiamo mai sapere se siamo fortunati oppure se arriva la siccità o le malattie e perdiamo tutto quello che abbiamo”.
E per quanto riguarda l’accesso all’acqua?
“Grazie al lavoro degli italiani4 i pozzi più vicini sono solo a 200 metri. Siamo molto sollevati e fiduciosi, anche perché abbiamo lavorato assieme. Ci hanno consultati e abbiamo partecipato all’ideazione del progetto e delle attività. Ci hanno distribuito anche delle taniche per l’acqua e per noi ora è più facile il trasporto e non dobbiamo più camminare una giornata per riempire una tanica di acqua. Adesso possiamo solo sperare che la pioggia torni come quest’ultima stagione”, conclude Fatma mentre alza gli occhi e le mani al cielo”.
Scheda progetto
Titolo | Riduzione sostenibile dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione acuta e moderata nella località di Sinkat (Red Sea State) |
---|---|
Programma | Emergenza AID 11002 |
Ente proponente | OXFAM ITALIA |
Obiettivo | Ridurre l’insicurezza alimentare e la malnutrizione acuta e moderata sostenendo la produzione di cibo nutriente e facilitando l’accesso al cibo e all’acqua ai gruppi più vulnerabili della popolazione, in particolare donne e bambini sotto i cinque anni di età. Il progetto è realizzato in partnership con l’entità locale Abuhadia Society for Women and Community Development. e i Ministeri e istituzioni governative di riferimento. Attraverso un approccio partecipativo che ha coinvolto i beneficiari sin dalle primissime fasi di identificazione, Oxfam lavora in 5 villaggi rurali della provincia di Sinkat: Baramio, Lawatab, Adalhaf, Tomosai e Halgeet. Il progetto interviene in una area abitata dalle comunità seminomadi di etnia Beja e si indirizza a circa 2.500 famiglie e 10.000 beneficiari indiretti. |
Settore | Acqua, Igiene & Agricoltura e sicurezza alimentare |
Attività | • Distribuzione di 1.400 capre, 150 ton di foraggio, 3,5 ton di sorgo, 3 ton di semi per i pascoli e 2.000 taniche per l’acqua • Realizzate 2 campagne di vaccinazione • Riabilitati 6 pozzi e 1 hafir • Costruiti 3 mulini e attivate 3 macine • Formati I comitati di villaggio • Organizzata una campagna da madre-a-madre per 650 madri sul modello NIPP |
Budget Totale: 350.000, 00 finanziato da AICS