Un rifugio chiamato Pakistan
Due rifugiati afgani su tre scelgono il Pakistan per storia, cultura e vicinanza: qui inizia la speranza di un futuro tutto da ridisegnare.
Prima degli eventi che hanno portato i talebani al potere a Kabul, 1,5 milioni di rifugiati afgani registrati già erano presenti in Pakistan. L’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, stima che questo numero sia in lenta crescita da agosto. Questo dato fa del Pakistan è il primo Paese al mondo per presenza di profughi afgani sul suo suolo. Ciò ha portato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterre, a celebrare proprio con Islamabad, nel 2020, i 40 anni di presenza di profughi afgani. Secondo le autorità centrali e regionali del Paese asiatico e le agenzie internazionali è stato il 2021 l’anno dove si è registrato il maggior numero di nuovi rifugiati. Una tendenza questa, destinata ad aumentare, dal momento che, secondo l’Unhcr, potrebbero essere quasi tre milioni gli sfollati interni nel vicino Afghanistan, di cui mezzo milione in più, dal primo gennaio 2021. Ben l’80 per cento di queste persone sarebbero poi donne e bambini.
Risposta umanitaria coordinata
Quando e quanti profughi arriveranno nel prossimo futuro non è dato sapere, ma il mondo della cooperazione e dell’umanitario si deve tenere pronto, aderente al contesto e coeso. Pronunciarsi o fornire dati, al momento, potrebbe causare movimenti di massa. Programmare nello specifico piani umanitari di risposta diventa quindi delicato quanto complesso. L’Unhcr ha richiamato l’attenzione sulla necessità di colmare alcune carenze di finanziamento critiche, magari rispettando il piano regionale di preparazione e risposta per i rifugiati (Rrp). Il documento ha delineato diversi elementi sottofinanziati in programmi esistenti per i rifugiati da parte dei partner nella Repubblica islamica dell’Iran, nella Repubblica islamica del Pakistan, in Tagikistan, in Turkmenistan e in Uzbekistan.
Il Prr 2021 delinea anche la preparazione umanitaria e gli interventi prioritari nella regione in caso di deflussi dall’Afghanistan e copre il periodo da luglio a dicembre 2021, compresi gli sforzi di preparazione alle emergenze messi in atto a luglio. Il piano sosterrà le risposte del governo fino ad oggi e in caso di nuovi movimenti di rifugiati sarà rivisto secondo necessità e integrato con ulteriori attività dei partner per aumentare la risposta globale. In Pakistan, com’era prevedibile, il governo teme un incremento di una crisi umanitaria che il Paese è impreparato a gestire senza assistenza internazionale e sostegno finanziario. “Questa è la più grande preoccupazione per noi in questo momento”, ha detto il ministro dell’Informazione Fawad Chaudhry al quotidiano Nations. “Stiamo già ospitando tre milioni di rifugiati afgani. La nostra economia non è abbastanza stabile da sopportare di più e, allo stesso tempo, la situazione del Covid-19 non ci consente di aprire le frontiere”.
Creare una nuova speranza
Riassumendo : generazioni di afgani hanno stabilito la loro casa in svariate regioni del Pakistan, ma la loro esperienza dimostra che non vi è alcuna garanzia che la vita migliorerà per i rifugiati che fuggono oltre confine. Coloro che sono fuggiti dal primo governo talebano sono alle prese con la costante minaccia di deportazione, vessazioni da parte della polizia e discriminazione.
Nelle ultime settimane, il dibattito politico nel Paese è stato animato da una intensa discussione all’interno della classe politica sulla responsabilità di Islamabad nei confronti dei rifugiati. Se i giornali come il Daily Times hanno affermato che un’Afghanistan stabile e pacificato è vitale per il Pakistan e per tutta la regione, molti politici hanno criticato la politica di apertura delle porte alle varie ondate di rifugiati che si sono susseguite dal Paese vicino fin dall’invasione sovietica nel 1979. I rifugiarti registrati inoltre non potrebbero lavorare e quelli che non lo sono accettano lavori sottopagati, sollevando così anche un problema relativo a reti d’illegalità. Qualcuno haevidenziato che l’affollamento dei rifugiati nei campi di confine temporanei può creare problemi di salute pubblica in un paese in cui i casi di Covid-19 sono ancora elevati. “Questo è un problema umanitario”, ha dichiarato Kaleem Durrani, coordinatore della Commissione per i diritti umani del Pakistan a Karachi. “Il governo federale non è stato serio nel seguire i [protocolli di prevenzione] del Covid-19, quindi è improbabile che le misure vengano seguite nei campi”, ha concluso.
Secondo una ricostruzione del quotidiano Dawn, al fine di ridurre il numero di persone che attraversano le frontiere, l’esercito pakistano continua a recintare il suo lungo e poroso confine terrestre di 2610 chilometri con l’Afghanistan, il 90 per cento del quale è stato completato. “Tuttavia,- sottolinea il quotidiano – il confine tra Pakistan e Afghanistan non è mai stato facile da ‘sigillare’, con i Pashtun divisi tra i due Paesi che si recano regolarmente in Pakistan per istruzione, cure mediche o visite familiari.” Sebbene il governo pakistano abbia affermato che non accetterà alcun profugo afgano, il valico di frontiera terrestre di Spin Boldak-Chaman, nel Balochistan, tra Pakistan e Afghanistan è rimasto aperto e nelle ultime settimane I centri sanitari hanno registrato un numero di accesso doppio o triplo rispetto alla media.
Una giornalista dell’emittente di Stato Pakistan Television (Ptv) ha rivelato ad Oltremare che solo le persone che necessitano di cure mediche o hanno una comprovata residenza nel paese possono attraversare il confine. Tuttavia, i trafficanti di migranti hanno aiutato intere famiglie a superare il confine. Liaquat Shahwani, portavoce del govern del Balochistan, ha affermato che coloro che hanno attraversato il confine sarebbero stati portati nei campi profughi in costruzione nelle aree vicine e ha chiesto all’Unhcr e ad altre agenzie internazionali di aiutarli a costruirli e a gestirli. La crisi si inserisce infatti in una situazione particolarmente instabile proprio nel Balochistan, la provincia in cui si trova la città di confine di Chaman, che è già una delle più turbolente del Pakistan a causa dei frequenti attacchi effettuati i da parte di gruppi di insorti beluci e di militanti islamici, compreso di recente lo Stato Islamico, a danno di cittadini cinesi o funzionari.
La storia dell’immigrazione di rifugiati afgani in Pakistan è iniziata più di 40 anni fa. Per prestare aiuti ai circa 3,5 milioni di persone in emergenza assoluta nel Paese l’Unhcr ha stimato i fabbisogni ad oltre 115 milioni di dollari. La Cooperazione Italiana si è sempre mobilitata in passato, in questa emergenza umanitaria, al fianco della comunità internazionale per sostenere gli sforzi del governo centrale e delle autorità regionali, attraverso progetti mirati a favore della popolazione migrante e delle comunità remote che offrono ospitalità ai rifugiati. Si tratta di migliorare le capacità della loro accoglienza, facilitandone l’integrazione attraverso progetti che riguardano principalmente i settori della salute, dell’istruzione e della creazione di micro-attività generatrici di reddito. Questi progetti hanno sempre avuto come priorità l’empowerment delle donne e l’inclusione giovanile. Concretamente, l’impegno della Cooperazione Italiana, avviata in Pakistan negli anni ’80, per quanto riguarda le iniziative umanitarie e di emergenza, sia a dono che a credito, è pari a 60 milioni di euro erogati, di cui la metà tramite agenzie delle Nazioni Unite e 10 milioni esplicitamente per i rifugiati. L’ultima iniziativa in data era stata affidata dall’Italia a Unhcr nel 2017 e 2018 con il progetto “Assistenza umanitaria per i rifugiati afgani e le loro Comunità ospitanti in Pakistan: investire nell’emancipazione dei giovani e Costruzione della resilienza verso soluzioni durature a lungo Spostamento e stabilizzazione delle popolazioni. Il progetto aveva come obiettivo di responsabilizzare giovani e bambini con iniziative di formazione e istruzione, anche in vista del ritorno e del loro reinserimento sostenibile in Afghanistan. Nella concretezza che caratterizza gli interventi dell’Italia scopo ultimo era il raggiungimento dell’efficienza, “stimolando i rifugiati a contribuire positivamente all’interno delle loro comunità di accoglienza in attesa di ritornare, e di diventare parte attiva dello sviluppo e dei processi di ricostruzione in patria. Le cifre sono 52.613 alunni/e afgani e 15.904 delle comunità ospitanti, 223 insegnanti e 400 giovani rifugiati afgani.