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Campi rifugiati dei Rohyngya a Cox’s Bazar: priorità alla tutela dei minori

Consapevoli che "nessun bambino merita di crescere in un campo profughi", Unhcr e altre organizzazioni lavorano nel campo profughi del Bangladesh per prevenire, educare e combattere gli abusi, tra vecchie consuetudini e nuove minacce. Come la pandemia di Covid-19.


Cox’s Bazar, in Bangladesh, era famosa per la sua spiaggia di sabbia naturale, una delle più lunghe al mondo. Oggi, è conosciuta soprattutto per il più grande campo profughi del mondo. Secondo l’Unhcr, ci sono 884.041 rifugiati a Cox’s Bazar, la stessa popolazione di Torino. Circa il 52%, più della metà, sono bambini. 3.435 minori (1.905 femmine) sono registrati come minori non accompagnati e separati.

La violenza contro i bambini rifugiati è un problema non sempre messo in luce, ma con il quale migliaia di genitori e tutori devono fare i conti tutti i giorni per salvaguardare la sicurezza dei propri figli.

© Unhcr/Amos Halder

“Le preoccupazioni primarie includono la violenza fisica (53%), i matrimoni precoci (47%), i rapimenti e / o la tratta (77%), il lavoro di sfruttamento e il lavoro minorile (49%), con le ragazze e gli adolescenti che sono i più a rischio. Inoltre, i registri del Dipartimento dei servizi sociali bengalesi mostrano un numero elevato di minori non accompagnati e separati, che richiedono soluzioni di assistenza alternative”, spiega Michael Juma, Capo dell’Ufficio di campo di Cox’s Bazar di Unicef in Bangladesh.

La protezione dei minori, sia nei campi che nelle comunità ospitanti, rimane una seria preoccupazione delle organizzazioni che lavorano a Cox’s Bazar e che hanno assistito all’aggravarsi dei rischi durante la pandemia di Covid-19. Le chiusure e le limitazioni imposte dalla crisi sanitaria hanno infatti portato a un ridimensionamento delle operazioni umanitarie, nel tentativo di ridurre la diffusione del Covid-19. La situazione ha aumentato il disagio psicologico tra i bambini e fatto aumentare i meccanismi di risposta negativi degli adolescenti. Ciò è stato aggravato dalla chiusura dei centri di apprendimento da metà marzo 2020, che ha portato alla perdita di routine quotidiane per i bambini. La mancanza di supervisione ha peggiorato, in modo particolare, la situazione delle giovani ragazze e donne nel campo.

L’Unione Europea definisce la violenza di genere (Gbv) come una “violenza diretta contro una persona a causa del suo genere o violenza che colpisce in modo sproporzionato le persone di un determinato genere”. A Cox’s Bazar, alcune forme di violenza di genere derivano dalla situazione di sfollamento dei rifugiati e dal livello di insicurezza nel campo, altre invece, sono forme persistenti che sono però aggravate dalla situazione in cui si trovano le persone.

La comunità Rohingya è altamente conservatrice nelle sue norme e pratiche di genere. Le ragazze adolescenti e le giovani donne sono tra le più a rischio in questo contesto. Pratiche come la “Purdah”, ad esempio, impongono che le ragazze dalla prima mestruazione al matrimonio, debbano rimanere in casa. E quando sei in una piccola capanna, in un campo, la situazione peggiora: l’accesso all’assistenza, ai servizi, alle informazioni e al processo decisionale salvavita, vengono a mancare. In alcune comunità, nel rispetto delle usanze tradizionali, ci si aspetta che le ragazze si sposino nella prima adolescenza, in ragione di un prezzo più basso della dote da pagare, che cresce con l’età della giovane sposa. Queste ragazze devono affrontare conseguenze immediate e per tutta la vita. Hanno maggiori probabilità di subire violenza domestica e meno probabilità di rimanere a scuola. La pratica può anche isolarle dalla famiglia e dagli amici ed escluderle dalla partecipazione alle loro comunità, incidendo pesantemente sulla loro salute mentale e sul loro benessere.

Per prevenire, educare, allertare e combattere queste, e altre violenze, e proteggere i bambini di Cox’s Bazar, le organizzazioni presenti in Bangladesh, tra le quali quelle finanziate dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) continuano a lavorare, coordinandosi tra loro. I centri polivalenti per bambini e adolescenti consentono loro di impegnarsi attivamente in attività ricreative e psicosociali adeguate all’età in uno spazio sicuro facilitato da personale qualificato. I casi identificati di protezione dell’infanzia sono riferiti a servizi specializzati. I volontari sul campo sono formati al supporto psicologico di base e si recano ogni giorno di casa in casa per parlare con le famiglie e identificare i casi più gravi di violenza.

“Nessun bambino merita di crescere in un campo profughi – continua Michael Juma – I rifugiati Rohingya in Bangladesh hanno bisogni in continua evoluzione. I nostri sforzi collettivi devono essere diretti non solo a garantire la dignità e il benessere dei bambini Rohingya oggi, ma anche a preservare le loro speranze e prospettive autentiche per le loro vite future “. Molto importante è anche il coinvolgimento di attori chiave all’interno della comunità, il dialogo con il comitato degli anziani, i leader della comunità e i leader religiosi, per parlare della violenza di genere e integrarli nel processo di educazione e protezione. In questo senso, le giovani donne possono assumere un ruolo fondamentale per promuovere il dialogo e creare spazi sicuri di confronto.

“È una grande felicità per me aiutare gli altri a parlare di queste cose” – racconta Myshara, di appena 14 anni. “Tutto questo ci sta aiutando a sbarazzarci della nostra oscura esperienza.” La giovane fa parte della comunità Rohingya, rifugiata nel campo di Kutupalong, e guida un gruppo di discussione in un programma di salute mentale “peer-to-peer” per giovani rifugiati gestito con l’aiuto dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Passa anche dalle parole e dall’impegno di persone come Myshara, la possibilità di un futuro migliore per i bambini Rohyngya.

 

Aics in Bangladesh

Consapevole di quanto sia fondamentale affrontare la crisi su entrambi i lati del confine, nel febbraio 2018 il Comitato misto di cooperazione italiana ha esteso il mandato dell’AICS Yangon alle attività di risposta umanitaria in Bangladesh. La Cooperazione Italiana si concentra sull’area di Cox’s Bazar e sostiene i programmi di emergenza portati avanti da agenzie ONU e ONG internazionali, in particolare Unhcr e Icrc, con particolare attenzione alla tematica della violenza di genere tra donne e adolescenti..

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