C’è Adelphitè, “dialoghi di attivismo” tra Senegal, Mali e Guinea
E' la nuova rubrica di Aics Dakar, alla scoperta di chi lotta per la costruzione di un mondo più equo.
“Una volta sono rimasta sbalordita nel sentire un leader d’opinione dire che in Mali le violenze sessuali non esistono. Queste affermazioni sono da condannare”, a dirlo Djeneba Mariko Diop, giurista maliana, da anni impegnata nella lotta allo sfruttamento minorile, in particolare quello delle bambine. “Le madri, figlie, sorelle, vittime di stupro, fanno parte di noi. Se non possiamo aiutarle in un qualche modo non aggiungiamo ulteriori fardelli, altrimenti diventeremo peggio dei loro stessi carnefici”, ha continuato nell’intervista a lei dedicata su Adelphité, la nuova rubrica lanciata dalla sede di Dakar dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).
Una serie di appuntamenti, da novembre a fine dicembre 2021, per raccontare le storie di chi quotidianamente si batte per i diritti di tutti, con coraggio e caparbietà. Nove attivisti, donne e uomini che, in settori diversi, contribuiscono a rendere questo mondo più equo e giusto. “Se essere femminista è difendere la causa delle donne, rifiutare le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni precoci e tutte le violenze basate sul genere me ne assumo la responsabilità, sono femminista!”, afferma Abdoulaye Diop, ginecologo senegalese.
“Il femminismo è una parola che disturba e sono ancora molti i fantasmi legati a questo concetto perché, ovviamente, avere come obiettivo quello di scardinare i privilegi di un certo gruppo a favore di un altro, non può realizzarsi senza attrito, senza angoscia di non esistenza”, spiega Khaira Thiam, psicologa clinica. “Il progetto del femminismo è l’uguaglianza, non ha nulla a che vedere con il mettere in scena una nuova dominazione contro un gruppo, solo che questo altro gruppo, che ha grandi difficoltà a costruire una mascolinità positiva, a definire o a ridefinire la propria mascolinità, preferisce l’aggressività al cambiamento perché è più economico psicologicamente”, continua Thiam.
Fatou Warkha Samb, attivista senegalese, definisce la pratica del femminismo essenziale e spiega così la sua militanza: “Per me ha voluto dire fare della mia professione, di giornalista e realizzatrice, un mezzo di lotta contro le diseguaglianze e di promozione dei diritti delle donne. Come? Creando contenuti”. Una militanza quotidiana nata in un ambiente in cui le diseguaglianze erano e sono, purtroppo, presenti. “Con il mio esempio voglio mostrare che i limiti imposti possono essere superati e che questo messaggio può essere divulgato. Essere donna non dovrebbe essere un freno, ben il contrario”, precisa Samb.
Tanti i temi toccati dalla rubrica, burnout, violenze psicologiche, violenza ostetrica, laicità, matrimoni precoci, diritto al nome, piacere femminile, solo per citarne alcuni. Dialoghi di attivismo attraverso cui raccontare cosa di concreto fa l’Aics tramite i progetti che finanzia ma anche tramite chi. Sì, perché Adelphité, nel suo significato più profondo, è soprattutto creare reti solidali ed empatiche, un supportarsi e migliorarsi vicendevolmente. La rubrica nasce da questo presupposto quale lavoro di collaborazione tra più settori (genere, comunicazione, società civile) e antenne (Guinea e Mali) della sede di Dakar.
“Abbiamo scelto Adelphité, che significa sia sorella (adelphé) che fratello (adelphos) per mettere in risalto l’importanza di relazioni solidali e collaborative tra tutti e tutte”, spiega Eugenia Pisani, responsabile del settore genere, che precisa: “La collaborazione reciproca è la base del nostro lavoro e ci ha spinto a dare vita a questa – prima – serie di dialoghi con persone diverse e provenienti da differenti paesi ma unite da un obiettivo comune da noi condiviso: decostruire gli stereotipi e promuovere l’uguaglianza di diritti e possibilità”.
“Lavorare in rete non è mai semplice, servono fiducia e supporto. Le soddisfazioni del risultato, però, sono alla fine moltiplicate”, sottolinea Chiara Barison, responsabile comunicazione per la sede. Claudia Berlendis, coordinatrice Paese in Mali, racconta così l’esperienza di Adelphité: “Dare voce a chi con coraggio, passione, determinazione, alle volte dolore e sofferenza, lotta per cambiare la realtà che li circonda è far parte di una sfida e, insieme arrivare a un cambiamento positivo per tutti, uomini e donne, ragazzi e ragazze”.
Per Emma Manfrin e Myriam Bašić, rispettivamente coordinatrice programma salute ed assistente amministrativo in Guinea, la rubrica ha significato “far parte di un progetto che mira a sensibilizzare la società intorno al tema delle violenze e delle discriminazioni di genere, ma non solo, in quanto si tratta di un fenomeno trasversale che non conosce limiti di età, di cultura, di professione o di classe sociale.Si tratta inoltre di sostenere le persone che quotidianamente lottano con professionalità, tenacia ed abnegazione contro le ingiustizie e discriminazioni sociali e che, con le loro esperienze di vita, dimostrano che è possibile costruire con una sinergia comune una società più giusta ed equa, un mondo nel quale si privilegia l’empatia piuttosto che l’indifferenza”.
“Adelphité, ovvero sorellanza”, afferma Maura Pazzi, responsabile del settore società civile e cooperazione decentrata. “Nove attivisti, sei professioniste di cooperazione e tre equipe tecniche hanno lavorato assieme in tre paesi diversi per realizzare questo progetto che spero sollevi un dibattito soprattutto nei paesi di cui gli attivisti operano. Un cambiamento reale può essere fatto solo con l’impegno e il coinvolgimento profondo delle comunità”.
“Le motivazioni e lo spirito dei protagonisti e delle protagoniste – conclude Marco Falcone, titolare della sede Aics Dakar – mostrano il coraggio e la passione con cui portano avanti le proprie idee ed il proprio lavoro” Un esempio di Adelphité che rimanda ad un senso etimologico della parola “cooperazione”, ovvero: “collaborazione, compartecipazione, partecipazione”.