Ultimi articoli

  /  Voci dal campo   /  KENYA Da stigma a simbolo di rinascita: la storia di Rosemary
Rosemary nel suo laboratorio, dove i prodotti di sartoria di Tuinuke prendono vita. Crediti: Alberto Favero
Rosemary nel suo laboratorio, dove i prodotti di sartoria di Tuinuke prendono vita. Crediti: Alberto Favero

KENYA
Da stigma a simbolo di rinascita: la storia di Rosemary

Rosemary è una donna che colpisce per due motivi: la forza che brilla nei suoi occhi e la trasparenza con cui sa raccontarsi. Questa è la sua storia, la storia di una donna che ogni giorno si batte contro lo stigma dell’Hiv e lavora per creare una società inclusiva in cui le donne possano essere protagoniste. Una storia che parte dal basso e che dimostra quanto sia possibile osare

È mattina, sono le 9.30 e sono in macchina, immerso nel traffico di Nairobi. Immerso nei miei pensieri, non so bene cosa aspettarmi da questa visita. Per me è un’esperienza nuova e parlare con donne affette da Hiv o che hanno subito violenza di genere non è un compito facile. Mi sento spaventato, ho paura di non riuscire ad usare le parole giuste, di non saper entrare con delicatezza e discrezione nelle loro vite. Ho il profondo timore di entrare a gamba tesa nella loro vita, chiedendo loro di esporsi e di parlare del loro percorso non solo economico, ma soprattutto interiore. Rosemary mi accoglie con un grande sorriso. Hanno allestito una piccola mostra dei loro prodotti all’ingresso dell’edificio in cui si trovano. Mi colpiscono subito i colori, così vividi e sgargianti, e vengo accolto anche dal rumore dell’intervallo dei bambini nella scuola a fianco. Mi preparano una sedia e così ha inizio la nostra chiacchierata, assieme anche ad Esther, sua collega e amica, nonché contabile nell’amministrazione dell’Associazione Tuinuke.

Rosemary e alcuni tra i prodotti dell’Associazione Tuinuke. Crediti: Alberto Favero

Rosemary e alcuni tra i prodotti dell’Associazione Tuinuke. Crediti: Alberto Favero

La storia inizia nel 2004, quando a Rosemary viene diagnosticata l’Hiv. Mi racconta con molta onestà e trasparenza, che l’unica certezza che vedeva davanti a sé, era la morte. Infatti, per una donna con l’Hiv e una gravidanza in corso, la vita diventa una lunga ed estenuante salita, troppo spesso senza uscita. Rosemary, madre di tre figli è stata esclusa da amici e familiari, arrivando addirittura al punto in cui le era vietato utilizzare il bagno pubblico, nella baraccopoli di Korogocho, dove viveva.

Quello è stato il momento in cui ha deciso di reagire: il primo passo della sua emancipazione passa attraverso un gruppo di auto aiuto, creato assieme ad altre quattro donne sieropositive. Nel 2005 nasce quindi l’Associazione Tuinuke Na Tuendelee Mbele. Oltre che condividere le proprie esperienze e supportarsi a vicenda, il gruppo decide di unirsi per lanciare un proprio business. Rosemary, che grazie ad un progetto dell’Organizzazione della società civile (Osc) World Vision aveva imparato a cucire e a lavorare la stoffa, ha iniziato a insegnare alle altre donne l’arte della sartoria. Come lei stessa dice, “sentivo di dover condividere quello che avevo imparato finché ne avevo l’opportunità, restituendo ciò che avevo appreso”. Nonostante gli sforzi del gruppo, le vendite non sono molte e i profitti scarseggiano, infatti “nessuno voleva comprare i nostri prodotti a causa della nostra condizione di sieropositive”.

Il 2009 è stato un anno difficile per Tuinuke, ma anche l’anno della svolta. Rosemary ha contratto la tubercolosi. “Quello è stato uno dei momenti difficili della mia vita. Sapevo che era il mio momento di morire. Ho iniziato a spiegare alle mie amiche come continuare l’attività a casa mia e come prendersi cura dei miei tre figli se me ne fossi andata. Piangevano davvero molto perché sentivano che se non fossi stata lì con loro, sarebbe stata la fine della nostra attività” racconta. Fortunatamente, dopo due mesi di cure, tutto si è risolto per il meglio. Rosemary è riuscita a rialzarsi ancora una volta e Tuinuke era pronta per un grande salto: sempre nel 2009 il gruppo ha infatti avuto l’opportunità di esporre i proprio prodotti ad un evento nel Kenyatta International Convention Centre (Kicc). In un solo giorno, riesce a guadagnare ben 15.000 scellini (circa 120 euro), che il gruppo ha deciso poi di re-investire nell’associazione per comprare nuove macchine da cucire ed espandere le attività. Oggi l’associazione include più di 15 donne affette da Hiv, che sono così in grado di sostenere sé stesse e le proprie famiglie grazie al frutto delle loro mani. Tuinuke inoltre organizza corsi di cucito, è attiva nel settore della salute riproduttiva e sessuale, e ha istituito un Kids Club, un luogo in cui circa 150 bambini e ragazzi possono andare quando non c’è scuola e in cui possono trovare accoglienza, un laboratorio di informatica e lezioni gratuite su come usare la tecnologia in modo sano e contro il cyberbullismo.

Alcuni prodotti tessili dell’Associazione Tuinuke  Crediti: Alberto Favero

Alcuni prodotti tessili dell’Associazione Tuinuke  Crediti: Alberto Favero

Ma qual è stato il ruolo dell’Italia e dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) nella crescita dell’associazione? Faccio questa domanda sia a Rosemary che a Vanni de Michele, rappresentante paese e capo progetto dell’Osc No One Out, in Kenya. Inizia Rosemary, raccontandoci che c’è sempre stato un rapporto privilegiato con l’Italia. L’associazione stessa è infatti stata beneficiaria di alcune attività ed interventi da parte di Osc italiane, attraverso canali di finanziamento dell’Aics (bando progetti promossi e Global Fund). Nello specifico, si tratta delle iniziative “BeFree! Integrazione tra comunità e sistema sanitario per una popolazione giovanile libera da Hiv e stigma”, gestito da No One Out, e “You Will Never Walk Alone”, gestito da Call Africa. Come sottolinea Vanni, grazie alla formazione e al supporto ricevuti, l’associazione è diventata un punto di riferimento per la comunità ed è in grado di formare e supportare a sua volta giovani donne affette da Hiv.

Chiedo a Rosemary come si sente, dopo aver realizzato tutto questo. La sua risposta è chiara: “Ho capito che niente è impossibile e che anche se io non ci sarò più, questo progetto continuerà ad esistere, a dare speranza e a lottare contro lo stigma dell’Hiv”.

Un gruppo di donne impara l’arte della sartoria. Crediti: Alberto Favero

Un gruppo di donne impara l’arte della sartoria. Crediti: Alberto Favero

You don't have permission to register