LIBANO
Beirut, la faticosa rinascita dopo l’esplosione del 4 agosto 2020
Il Libano sta affrontando una delle più difficili fasi della sua storia, segnata dalla crisi economica e dalle conseguenze della pandemia di Covid-19. Un bilancio a due anni dall'esplosione che ha devastato il porto di Beirut aggravando le condizioni di vita di milioni di persone
“Due anni fa sono venuto qui a vedere con i miei occhi, perché non volevo credere che anche il silos fosse crollato”. Sono passati due anni da quel 4 agosto 2020 quando, alle 18:06, l’esplosione al porto devastava Beirut. Agop, che vive a Bourj Hammoud, una delle aree più colpite dall’onda d’urto, ha avuto la casa semidistrutta, ma lui e i suoi cari sono rimasti quasi illesi. “Appartengo alla generazione che ha vissuto la guerra, ma qualcosa di simile non lo avevamo mai sentito e visto prima” dice.
Il “silos”, la grande costruzione bianca che da sempre chiudeva l’orizzonte del porto di Beirut è ridotto in macerie. Era un simbolo della resilienza libanese, un enorme granaio che aveva resistito ai quindici anni dii guerra civile continuando a garantire pane al Libano. Oggi si discute se completare il suo abbattimento o conservarlo come memoria della tragedia di quel 4 agosto.
L’esplosione ha provocato 300 vittime e più di 7.000 feriti, distrutto o danneggiato gravemente centinaia di edifici residenziali lasciando circa 300.000 persone senza casa, quattro grandi ospedali subirono danni pesanti, come decine di scuole e centinaia di piccole e grandi attività commerciali e industriali.
Al di là dei numeri spaventosi di questa tragedia, ad essere colpita è stata l’anima della città, i suoi simboli che testimoniavano la resistenza, come il silos, o la sua profonda e reale multiculturalità, come le gallerie d’arte e i locali di Mar Mikail e Gemmayzeh. “Quelle gallerie, quei bar, non erano solo i luoghi d’incontro dell’élite culturale o della movida dei giovani. Erano i posti dove le persone si incontravano, scavalcando gli steccati politici e religiosi. Erano un ponte reale tra Occidente e Medio Oriente” continua Agop.
Le strade alle spalle del porto assomigliavano a un bazar fatto da locali, ristoranti e negozi. Una collana impreziosita ancora da poche vecchie botteghe e forni per la manaoushe (la tradizionale pizza libanese) che sono stati travolti dall’onda d’urto. Beirut quel giorno è stata ferita, come mai prima nella sua storia millenaria, ma ancora una volta, come l’Araba Fenice, sta rinascendo dalle sue ceneri.
La casa di Agop è una di quelle riabilitate dal Cisp con un progetto finanziato da Aics Beirut. “Senza l’aiuto italiano e con i prezzi alle stelle non so se avremmo mai avuto la possibilità di rimettere tutto in ordine”. La riabilitazione delle case è solo una delle tante attività realizzate da alcune Osc italiane (Avsi, Cesvi, Cisp e Tdh), nel cratere dell’esplosione grazie al finanziamento di 2 milioni di euro di Aics Beirut.
Si è trattato di un programma ad ampio raggio costruito in risposta alle conseguenze umanitarie, economiche e sociali dell’esplosione. Un’iniziativa che ha visto le Osc italiane riabilitare case, negozi e piccole imprese, fornire assistenza sanitaria e psicologica alle vittime, sostenere i più vulnerabili sul piano economico con l’accesso ai farmaci e la distribuzione di kit igienici, pacchi alimentari e materiale didattico. Interventi che si sono concentrati nelle aree più povere, e dove è maggiore la presenza di rifugiati siriani, tra quelle devastate dall’esplosione. “Beirut è come la mia casa – dice Agop – per rinascere ha bisogno dell’aiuto e del sostegno di tutto il mondo, di una comunità internazionale che, proprio come la capitale libanese, è capace di andare oltre gli steccati dell’ideologia e della religione”.
Queste iniziative rappresentano per la cooperazione italiana il passaggio dalla risposta all’emergenza all’impegno per la ricostruzione e la rinascita della città e del suo tessuto sociale e culturale. Infatti, nei giorni immediatamente successivi all’esplosione l’Aics ha erogato, grazie anche alla rimodulazione di iniziative in corso, 3,2 milioni di euro alla Croce Rossa Libanese, a quella internazionale e all’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha). A questi finanziamenti hanno fatto seguito quello a Unicef, per la riabilitazione e il riarredo di alcune scuole pubbliche danneggiate e quello a Unesco per la riabilitazione del Museo Soursouk, la splendida villa in stile liberty libanese che al centro della capitale ospita il Museo comunale di arte contemporanea.
Il Libano ha lanciato un appello al mondo, e la cooperazione italiana, attiva nel Paese da quasi 40 anni, è ancora una volta al fianco delle istituzioni locali, come negli anni bui della guerra civile, con iniziative di emergenza, ma anche con interventi nel medio e lungo termine per assicurare la stabilità della società e rinforzare le capacità di risposta delle istituzioni locali per una adeguata risposta ai bisogni della comunità.