LIBANO
Libano: il Paese dei rifugiati aiutato dalla cooperazione italiana
Su una superficie di poco più di 10.000 chilometri quadrati, il nostro Abruzzo, circa cinque milioni di Libanesi convivono con quasi due milioni di rifugiati, profughi e sfollati. Numeri che fanno del Libano il Paese al mondo con la più alta percentuale di rifugiati rispetto alla popolazione
Il Libano non è più il Paese dei Cedri, ma quello dei rifugiati. Secondo gli ultimi dati disponibili, marzo 2022, il Libano accoglie 839.086 rifugiati siriani registrati dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), il 48% minori. Si tratta, però, di un numero molto lontano dalla realtà, il Paese non aderisce alla Convezione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e, su richiesta del Governo, nel 2015 Unhcr ha sospeso la registrazione degli sfollati provenienti dalla Siria. Perciò, tenendo conto dei Siriani che non hanno effettuato o rinnovato la registrazione all’Unhcr, le autorità libanesi stimano a 1,5 milioni il numero di Siriani presenti nel Paese, ai quali si aggiungono circa 400.000 rifugiati palestinesi e circa 18.000 di altre nazionalità.
Mentre i rifugiati palestinesi dal 1948 vivono in 12 campi, disseminati su tutto il territorio libanese e gestiti per i servizi essenziali da Unrwa, ben diversa è la situazione dei profughi siriani. Su di loro pesa il mancato riconoscimento dello status di rifugiati.
Molti, più del 33% delle famiglie, vivono, anzi sopravvivono, in decine di “insediamenti informali”, veri e propri campi profughi anche se non possono essere chiamati così. Tendopoli sparse in tutto il Libano, ma soprattutto nelle regioni agricole dove è più facile trovare un lavoro anche se saltuario e mal retribuito. Territori dove l’inverno è rigido e piovoso e l’estate torrida e secca, le temperature passano dai -10° ai +40°, e spesso la casa è un telo di plastica o il risultato dell’ardito assemblaggio di cartelloni pubblicitari. Negli insediamenti non ci sono servizi igienici, sanitari o educativi e le famiglie sono costrette a pagare al proprietario l’affitto del terreno che la loro tenda occupa.
I Siriani degli insediamenti e quelli più fortunati che vivono in alloggi, spesso di fortuna e sovraffollati, hanno comunque accesso ai servizi pubblici essenziali, grazie al contributo della comunità internazionale. Una situazione che ha amplificato drammaticamente la pressione sulle istituzioni locali, che già non disponevano di risorse sufficienti per fornire servizi ai cittadini libanesi, in primo luogo quelli sanitari ed educativi.
Negli ultimi tre anni questo complesso quadro è stato ulteriormente aggravato dagli effetti della crisi economica, esplosa nell’ottobre 2019, e dalle conseguenze della pandemia da Covid-19. In soli due anni, ottobre 2019 – ottobre 2021, il costo del paniere alimentare di base in Libano è aumentato del 725%. Secondo uno studio di Un-Escwa attualmente circa il 34% della popolazione libanese vive in condizioni di povertà estrema, contro il 10% nel 2019. Di pari passo va il peggioramento delle condizioni di vita del popolo dei rifugiati in Libano, qualsiasi sia la loro nazionalità o provenienza. La percentuale di famiglie di rifugiati siriani che vivono al di sotto della soglia di povertà estrema è aumentata dal 55% nel 2019 all’88% nel 2021.
La cooperazione italiana a partire dal 2012, quando il numero di rifugiati siriani ha iniziato a crescere vertiginosamente, si è impegnata per sostenere le istituzioni libanesi nel difficile compito di affrontare quella che si può definire una delle più gravi crisi di questo secolo. Un impegno che continua e che ha visto fino ad oggi l’Italia impegnata a finanziare iniziative per più di 130 milioni di euro alle Agenzie delle Nazioni Unite e alle Osc italiane impegnate a garantire accesso alla salute, all’educazione e opportunità di lavoro temporaneo ai rifugiati e alle comunità ospitanti.
I numeri servono a disegnare il quadro di questa crisi, ma non servono a raccontare il dramma di due popoli, quello libanese e quello dei rifugiati, costretti dalla, storia a convivere e ad affrontare difficoltà sempre crescenti per comprare cibo, medicinali o mandare i figli a scuola.
La crisi economica ha aumentato la competizione e le tensioni in aspetti essenziali della vita quotidiana: il mercato del lavoro, che ha visto aumentare il numero di libanesi in quei settori non professionali e mal retribuiti, come l’agricoltura e l’edilizia, una volta riservati quasi esclusivamente ai profughi, oltre alle scuole pubbliche, insufficienti in precedenza e che ora devono fare i conti con circa il 20% delle famiglie libanesi che, a causa dell’aumento delle rette, hanno rinunciato a quelle private. Complicato anche accesso agli ospedali e ai servizi pubblici di salute, già carenti prima della crisi e che ora vedono moltiplicarsi i loro utenti.
L’elenco potrebbe continuare con servizi come la fornitura d’acqua potabile, quella di energia elettrica o la gestione dei rifiuti. Una situazione potenzialmente esplosiva, che nella recente campagna elettorale qualche forza politica ha anche cercato di cavalcare, indicando come responsabile del tracollo del Libano la presenza siriana. Oltre a questo, nelle ultime settimane, il governo libanese ha cominciato a lanciare segnali alla comunità internazionale circa l’impossibilità per il Paese di continuare a mantenere l’ospitalità per il popolo siriano nonostante tutti gli aiuti ricevuti e suggerendo come unica soluzione il ritorno in patria.
Ciononostante, giorno dopo giorno, si realizza il miracolo quotidiano del Libano dove le difficoltà crescenti non sfociano ancora nell’odio e nella violenza sistematici verso l’altro. La domanda ora è quanto potrà ancora durare questa pace sociale? Lavorare per la ripresa economica del Paese e cercare, insieme alla comunità internazionale, soluzioni concrete e durature alla questione dei profughi siriani, sono le sfide vitali per il futuro del Libano, sfide a cui è chiamata a rispondere anche la cooperazione internazionale.