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La guerra in Siria e la crisi umanitaria: il contributo della Cooperazione italiana

A dieci anni dal conflitto che ha sconvolto il Paese, una panoramica sull'operato dell'Aics, sia in Siria che nei Paesi limitrofi che hanno accolto centinaia di migliaia di rifugiati.


In Siria sono passati 10 anni da quando le proteste contro il governo del presidente Bashar al-Assad, scoppiate il 15 marzo 2011 sull’onda delle cosiddette “primavere arabe”, accesero rapidamente il fuoco della guerra civile. Dopo un decennio di scontri sanguinosi il governo di Assad è ancora al suo posto in un Paese devastato.

La Siria è oggi economicamente al collasso, non pacificata e divisa. Un gruppo legato ad al-Qaida domina la provincia nordoccidentale di Idlib, mentre i ribelli sostenuti dalla Turchia controllano alcuni tratti lungo il confine, i curdi siriani, sostenuti dagli Stati Uniti, controllano parte del nord-est e Damasco, con l’appoggio russo, governa sul resto del Paese.

Rifugiati siriani a Wadu Lhaked, Libano © Aics, Beirut

A pagare il prezzo più alto è stato il popolo siriano. Il numero dei morti è stimato tra i 400.000 e i 500.000, circa la metà civili. L’l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), valuta che siano 5,5 milioni i profughi siriani in giro per il mondo e che un numero ancora maggiore sia quello degli sfollati interni al Paese. Un numero altissimo di persone, perlopiù con un alto tasso di scolarizzazione, che ha acceso una crisi legata ai migranti in Europa.

In Siria, che non è stata risparmiata neppure dalla pandemia di Covid-19, sono più di 13 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. In un anno il valore della lira siriana è crollato del 78%, i prezzi dei generi di prima necessità sono arrivati alle stelle e l’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Secondo l’Unicef circa il 90% dei bambini ha bisogno di assistenza umanitaria, tra loro oltre mezzo milione al di sotto dei cinque anni soffre di ritardi nello sviluppo a causa della malnutrizione cronica e circa 2,45 milioni non vanno a scuola.

La risposta regionale e gli aiuti italiani

Dalla fine del 2012 ad oggi, la Cooperazione Italiana ha destinato circa 286 milioni di euro in risposta alla crisi siriana: in Siria (27%), nei Paesi limitrofi (Libano 38%, Giordania 25%, Iraq 1%, Turchia 0,7%) ed a livello regionale (7%), in linea con i piani nazionali dei vari Governi e con i quelli delle Nazioni Unite.

Sin dal 2014, per fare fronte alle conseguenze umanitarie, economiche e sociali causate della crisi siriana, le Nazioni Unite e le autorità nazionali dei Paesi di accoglienza dei rifugiati, vale a dire Giordania, Libano, Turchia, Egitto e Iraq hanno definito un piano strategico regionale denominato Regional Refugee and Resilence Plan in Response to the Syria Crisis (3Rp)1, che include i Piani nazionali di risposta quali il Lebanon Crisis Response Plan (Lcrp) e il Jordan Response Plan for the Syria Crisis (Jrp). In Libano Per il 2020, il Regional Refugee & Resilience Plan ha stimato un fabbisogno finanziario di 5,56 miliardi di dollari americani, dei quali poco più di 3,03 miliardi per attività più tipicamente umanitarie e 2,53 miliardi per interventi a sostegno della resilienza2. Lo scoppio della pandemia e la crisi conseguente hanno ovviamente influito sugli scenari originariamente ipotizzati, e portato all’elaborazione di Piani specifici per alcuni Paesi, tra cui il Covid-19 Emergency Appeal for Lebanon3, e il Jordan Intersectoral Covid-19 Response Plan 20204, che identificano i fabbisogni aggiuntivi necessari per coprire i bisogni umanitari legati alla pandemia.

Dispensario farmaceutico Unhcr per i i rifugiati siriani © Aics Beirut

Oltre alle iniziative attuate a livello nazionale e regionale, è opportuno ricordare che, nel dicembre 2015 il Comitato Operativo del Fondo Madad5 ha approvato l’iniziativa di cooperazione delegata UE“Resilience and Social Cohesion Programme (Rscp)”, realizzata dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) in partenariato con la Cooperazione Francese (Afd) per un finanziamento di 23 milioni di euro. L’iniziativa è in corso e intende sostenere le capacità delle autorità locali di Libano, Giordania e Iraq (Regione autonoma del Kurdistan iracheno) attraverso interventi di rafforzamento delle infrastrutture sociali e dell’accesso ai servizi di base nelle Municipalità maggiormente esposte al flusso di profughi siriani (componente italiana).

In Siria, la Cooperazione italiana dal 2012 è intervenuta con 86,623 milioni di euro destinati ad interventi in diverse regioni del Paese, sia nelle aree controllate dal governo che non. I progetti, realizzati in collaborazione con le Osc presenti nel territorio e con diverse Agenzie delle Nazioni Unite, tra cui Unhcr, Unrwa, Unicef, Oms, Ocha, Oim, Wfp, Undp-Unfpa, Unmas e Fao, rispondono ai bisogni degli sfollati interni, in termini di sicurezza alimentare, protezione, tutela dell’infanzia, supporto alle donne attraverso attività generatrici di reddito, accesso ai servizi primari, come quelli sanitari, psicosociali ed educativi. I settori principali sono: protezione, sicurezza alimentare e livelihoods, salute, educazione ed early recovery.

Campo rifugiati siriani a Zahle, Libano © Aics Beirut

In Libano attualmente si stima che più di un milione di rifugiati siriani, tra registrati e non all’Unhcr, l’Agenzia che fino al 2018 aveva l’incarico di registrarli, vive stabilmente nel Paese, di cui circa il 54% sono minori. Questi si sono aggiunti a circa 280.000 rifugiati palestinesi, già presenti nel Paese, e a circa 34.000 Palestinesi rifugiati in Siria e arrivati dopo l’inizio della crisi. Per valutare l’impatto della presenza dei rifugiati in Libano si deve considerare che, secondo il centro di statistica nazionale, la popolazione libanese è stimata a 5 milioni. La “crisi siriana” ha destabilizzato i già fragili equilibri demografici, ha causato instabilità sociale e ha deteriorato lo stato delle infrastrutture e la qualità dei servizi pubblici.

Interventi sanitari nei campi informali nel governatorato di Mafraq, Giordania © Aics Amman

In questa difficile situazione la Cooperazione Italiana sostiene le iniziative a favore dei rifugiati siriani e aiuta le istituzioni libanesi nel rafforzamento dei servizi pubblici, lavorando nell’ambito del Lcrp, sviluppato dal Governo libanese con il supporto tecnico dell’Onu e il contributo finanziario della comunità internazionale. Dal 2012 ad oggi la Cooperazione Italiana in Libano ha finanziato interventi per 116,075 milioni di euro, promuovendo iniziative che mirano a rafforzare la resilienza dei rifugiati e delle comunità ospitanti.
I settori d’intervento prioritari sono Istruzione, Salute e livelihoods. Gli interventi nel settore livelihoods, realizzati da Ong italiane e libanesi, coinvolgono in attività d’impiego temporaneo cittadini libanesi e siriani economicamente vulnerabili nella riabilitazione di opere pubbliche e nell’erogazione di servizi di base in municipalità caratterizzate dalla forte presenza di rifugiati siriani. A questo si affiancano anche corsi di formazione professionale e attività di sostegno all’autoimprenditorialità. Nel settore Istruzione, la Cooperazione Italiana contribuisce al Programma “Reaching All Children with Education”, gestito dal ministero dell’Istruzione libanese, che mira a migliorare l’accesso a servizi educativi di qualità per tutti i bambini e giovani in età scolare presenti in Libano. Gli interventi nel settore della Salute, realizzati da Unrwa e Unhcr, contribuiscono alla copertura totale o parziale delle cure mediche primarie e secondarie somministrate da una rete di ospedali pubblici e privati a favore dei rifugiati provenienti dalla Siria, anche palestinesi.

In Giordania l’afflusso massiccio di rifugiati siriani – circa 650.000 registrati con l’Unhcr – ha avuto ripercussioni notevoli sulla stabilità socio-economica e sulla sicurezza del Paese, già impegnato in un complesso processo di riforme politico-sociali volte al miglioramento delle condizioni sociali ed economiche. La maggior parte dei rifugiati siriani risiede in contesti urbani e soltanto il 18% nei campi di accoglienza. Eppure, il campo profughi di Za’atari, sorto il 28 luglio 2012 e situato a 20 chilometri dal confine siriano, è uno dei più grandi al mondo con i suoi circa 80mila residenti, e costituisce di fatto la quarta città della Giordania.

Distribuzione foraggio ad allevatori. Siria © Aics Beirut

Sin dal 2012 l’Italia è intervenuta nel Paese contribuendo alla risposta all’emergenza umanitaria con oltre 77 milioni di euro, erogati per la realizzazione di iniziative di cooperazione a sostegno sia degli sfollati che delle host communities, di cui 13,75 milioni di euro soltanto nel 2020. Gli interventi includono contributi ad organismi internazionali (Unhcr, Oms, Wfp, Unidef, Oim, UN Women, Cicr, Unesco), l’allestimento di un poliambulatorio a Za’atari, nato già nel 2012 come ospedale da campo tendato, la costruzione di un ospedale nel campo di Azraq (gestito da Ficross) e interventi gestiti direttamente o attraverso il contributo delle Osc italiane operanti nel territorio. I settori su cui si è investito di più sono quelli della salute e della protezione delle categorie più vulnerabili (donne, minori, persone con disabilità, etc.) in accordo con le priorità della Cooperazione Italiana e con quelle espresse sia dal Governo giordano sia dalla comunità internazionale.

L’Italia ha aperto nel settembre 2013 una unità di cooperazione dedicata presso il locale Consolato di Erbil nella Regione del Kurdistan Iracheno. Nello stesso anno, in linea con l’impegno del governo italiano a sostegno della crisi umanitaria regionale dovuta al conflitto siriano, la Cooperazione italiana si è attivata per un totale di circa dieci milioni di euro con interventi di emergenza sia multilaterali – principlalmente attraverso Unhcr, Unicef e Wfp in risposta ad appelli umanitari – sia bilaterali, con iniziative affidate a Osc italiane, nonché distribuzioni umanitarie. In particolare, gli interventi realizzati attraverso organizzazioni italiane si sono focalizzati sul settore sanitario, istruzione, livelihood e protezione, contribuendo a migliorare accessibilità, inclusività e qualità dei servizi di base della regione, a fronte di un accresciuto numero di abitanti che ha messo in crisi i sistemi di servizi di base.

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