Myanmar – Dry Zone, quando solo la terra è arida
Un fondo di garanzia per aiutare l’economia della Dry Zone provata dalla crisi del Covid-19. È il cuore dell’iniziativa finanziata da Aics e realizzata dal Cesvi
“Una scommessa vinta in fase di progettazione, quella di istituire un fondo di garanzia a favore dei contadini e delle micro, piccole e medie imprese. L’accesso al credito rappresentava uno dei fattori più limitanti dello sviluppo della filiera agricola della zona. L’attività è stata elaborata sulla base di un assessment costruito sulle necessità e i bisogni della popolazione target del progetto”. A parlare è Andrea Ricci, 31 anni originario del Casentino nella provincia di Arezzo, rappresentante Paese per il Cesvi in Myanmar e responsabile dell’iniziativa “Safecrops – sesamo, arachide, fagiolo: economie comunitarie resilienti e organizzazione della produzione sostenibile in Dry Zone, Myanmar”. La ong bergamasca, presente da diversi anni nel Paese, ha ottenuto nel 2019 un finanziamento triennale di circa due milioni di euro dall’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e nel quadro dell’iniziativa lavora insieme a due partner: il Network Activity Group, una ong locale impegnata principalmente nel settore agricolo, e l’italiana Associazione Microfinanza e sviluppo. Una componente fondamentale dell’azione complessiva della Cooperazione italiana in Myanmar, è costituita dalle iniziative realizzate dalle ong che collaborano con le osc locali. E l’iniziativa Safecrops sembra poter ben affrontare l’emergenza economica causata dal Covid-19.
La Dry Zone è una vasta area al centro del Paese dove, secondo le stime, vive circa un quarto della popolazione birmana. Si estende tra le regioni di Magway, Sagaing e Mandalay. Nonostante la siccità che la affligge, questa terra accoglie la coltivazione del sesamo, dell’arachide e del fagiolo mungo sia per la tipologia di suolo, sia per la poca acqua di cui necessitano. Safecrops punta a favorire un aumento del reddito dei soggetti coinvolti sia nelle filiere delle tre coltivazioni sopra menzionate che nel commercio di prodotti tradizionali del Myanmar, già esportati in India e Cina e per i quali il progetto intende contribuire a rendere possibile un arrivo sui prestigiosi mercati del Giappone e della Corea, nonché in Europa. L’intervento adotta un approccio olistico su tre aspetti della filiera agricola: l’aumento quantitativo e qualitativo della produzione; l’accesso al mercato ;la governance. Una catena complessa, soprattutto in una zona con caratteristiche ambientali che portano all’inclusione del Myanmar nella lista dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici.
Il lockdown, dovuto all’emergenza Covid-19, ha limitato la libera circolazione di beni e persone. Ne hanno risentito anche le attività di formazione per i contadini che puntano a ottenere dalle autorità birmane un certificato di qualità sul prodotto finale. Nessuna missione per le consulenze tecniche previste è possibile al momento e le attività sono posticipate o sostituite con i mezzi di comunicazione messi a disposizione dalla tecnologia. Certo, tutto è in via di sperimentazione spiega Ricci, che tuttavia si dice convinto che ormai ogni progetto di cooperazione dovrà prevedere una componente “eventi imprevisti” e la tecnologia non può che rivelarsi di supporto in tale contesto, in particolare per le attività di formazione.
Andrea ha scelto di rimanere nel Paese al dilagare del coronavirus, nella città di Bagan, recentemente inserita nella lista dei Patrimoni dell’umanità dell’Unesco, lontano da strutture sanitarie che potessero garantire standard adeguati in caso di necessità. “Proprio quando il potenziale e la complessità della sfida professionale che mi avevano portato in Myanmar sono aumentati, ho valutato attentamente i pro e i contro del restare. Sapevo di avere a disposizione strumenti per aiutare concretamente le comunità rurali già in difficoltà prima dell’emergenza. Questa consapevolezza mi ha fatto optare per rimanere.” Ma è il cuore pulsante dell’iniziativa che detta i tempi del suo racconto: “L’accesso al credito è centrale nella strategia di ripresa economica post pandemia. E in questo quadro, alcune delle attività di Safecrops si pongono perfettamente in linea con le priorità e gli interventi messi in campo dal governo, perché mettono a disposizione dei beneficiari un capitale finanziario per attività di produzione agricola e di creazione di valore aggiunto al prodotto, sostenibili nel lungo termine”. Ricci spiega che si tratta di “strumenti già destinati a persone escluse dal credito, perché non in grado di offrire garanzie, e oggi prime e certe vittime della crisi economica post pandemia”.
L’emergenza coronavirus, secondo i tecnici, pur non danneggiando le tre coltivazioni, le quali gioveranno del compimento del ciclo naturale, avrà effetti che si tradurranno in una generale e diffusa crisi economica. Di fronte a questo scenario le parole della primo ministro Aung San Suu Kyi nell’introduzione al “Covid-19 Economic Relief Plan”, il piano del Governo per l’emergenza economica peggiorata a causa della diffusione del virus, approvato lo scorso 27 aprile, appaiono di monito: ”Per la prima volta nella storia della nostra nazione – – ha affermato San Suu Kyi – la popolazione si trova ad affrontare la minaccia alla vita e ai mezzi di sostentamento di un nemico invisibile. L’attuale pandemia avrà conseguenze dirette sulla crescita e prosperità globale sottoponendo al Myanmar sfide economiche e sanitarie senza precedenti”. Parole nette e prive di retorica che richiamano ad una azione urgente. E piace ipotizzare per il futuro qualcosa di simile al cuore pulsante di Safecrops.