Myanmar: Women and Girls First, cooperare per rompere il silenzio delle donne
Il Myanmar è un paese in cui le donne parlano sottovoce. Sebbene la componente femminile costituisca più della metà dei 52 milioni di abitanti del Paese e nonostante l'icona della transizione democratica abbia il volto di donna, il divario di genere continua a gravare ingombrante sulla vita politica, economica e sociale di un paese che ha appena cominciato a ricostruire sulle ceneri di quasi sessant'anni di isolamento, autoritarismo e conflitti.
Prime a farne le spese sono state le donne, relegate ai margini di una società patriarcale e conservatrice che le ha penalizzate in ogni ambito dell’affermazione di sé: istruzione, impiego, accesso alla sanità, rappresentanza politica (solo il 13% del seggi in Parlamento è occupato da donne) e l’elenco continua.
Nelle aree di conflitto, la condizione femminile peggiora drammaticamente: le tensioni che si riaccendono a intermittenza tra l’esercito nazionale e le forze armate di matrice etnica – ferite mai rimarginate di uno sogno federale infranto – hanno creato un ambiente violento, ostile e pericoloso soprattutto per le donne.
Rompere il loro silenzio nelle aree più isolate e complesse è una delle sfide della Cooperazione Italiana in Myanmar, che ha fatto del gender un settore prioritario della strategia di sviluppo nonché una componente essenziale di ogni intervento nel Paese.
Proprio le donne sono state al centro di una recente missione dell’AICS di Yangon a Sittwe, nel Rakhine State, lo stato del Myanmar occidentale che dall’agosto 2017 ha catalizzato l’attenzione internazionale sulle tensioni che hanno determinato l’esodo di oltre 900.000 persone della minoranza musulmana Rohingya.
Qui, nel 2015, l’AICS ha contribuito all’avvio di “Women and Girls First” (WGF), il progetto coordinato dall’Agenzia delle Nazioni Unite UNFPA a sostegno delle donne più vulnerabili delle comunità buddista e musulmana, vittime di discriminazioni, rilocazione forzata e delle violenze fisiche e psicologiche aggravate dalle difficoltà della guerra.
Un’indagine condotta tra il 2015-2016 (Demographic and Health Survey), infatti, ha attribuito allo Stato Rakhine il maggior numero di vittime di violenza da parte del coniuge e il secondo indice in Myanmar per numero di violenze fisiche e sessuali.
All’interno del progetto WGF, UNFPA lavora al fianco delle organizzazioni della società civile, tra cui la Myanmar Medical Association, e di organizzazioni internazionali quali Danish Refugee Council (DRC) e International Rescue Committee (IRC), per fornire assistenza e supporto alle donne nell’ambito della salute riproduttiva e dell’emergenza, erogando trattamenti post-trauma, servizi di counselling e supporto alle vittime di violenza di genere (GBV).
I servizi vengono erogati tramite cliniche mobili e da campo e mediante degli appositi Centri Women and Girls First, che permettono di raggiungere una buona parte delle donne che dal 2012 vivono nei campi IDP (Internally Displaced People) delle aree di Sittwe, Kyauktaw e Mrauk U. I Centri forniscono sessioni giornaliere di insegnamento che integrano GVB, salute riproduttiva e diritti della donna, e coinvolgono non solo le donne di tutte le comunità presenti sul territorio, ma anche uomini di tutte le età affinché l’approccio alle tematiche di genere sia esso stesso inclusivo.
Il programma WGF, che ha preso avvio grazie a un iniziale contributo italiano di 400.000 Euro cui ne è seguito un secondo di pari ammontare, è parte di un di intervento su scala nazionale che investe anche altre aree del Myanmar affette da conflitti: lo Stato Kachin, la parte settentrionale dello Stato Shan, la regione a sudest del Paese, cosiddetto Southeast, e più recentemente lo stato Mon.
In uno scenario estremamente complesso e frammentato, in cui le tensioni etniche aggravano la povertà cronica, l’accesso ai servizi di base e la libertà di movimento delle persone, l’intervento messo in atto dal progetto vuole coniugare emergenza e sviluppo, stimolando al contempo la coesistenza pacifica delle diverse comunità.