San Salvador: le nuove sfide migratorie in Centroamerica
Il 2018 si è aperto con la famosa decisione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di cessare lo Status di Protezione Temporanea (Temporary Protected Status) per i cittadini di alcuni Paesi tra i quali El Salvador e Haiti. Da quel momento in poi 263.000 salvadoregni residenti negli USA e titolari di TPS dal 2001, hanno iniziato a cercare vie alternative per poter rimanere nel Paese regolarmente dopo il 9 settembre 2019, altrimenti avrebbero rischiato la deportazione. Il 3 ottobre scorso il giudice federale Edward Chen ha bloccato il tentativo di cessazione del TPS giudicandolo incostituzionale. Se l’ordine del tribunale non sará respinto o invalidato entro il 2 aprile di quest’anno, l’ufficio per i servizi di cittadinanza e immigrazione (US Citizenship and Immigration Services) potrá emettere una nuova estensione del TPS fino al 2 gennaio 2020.
La possibile deportazione di migliaia di cittadini salvadoregni nel loro Paese di origine non é stata l’unica notizia a scuotere El Salvador nel 2018.
Il 13 ottobre un migliaio di onduregni sono partiti da San Pedro Sula con un unico obiettivo: quello di raggiungere a piedi gli Stati Uniti d’America. La decisione di partire verso Nord é arrivata dopo una catena di messaggi sui social network grazie alla quale è poi stato possibile creare una carovana migrante. La carovana è cresciuta giorno dopo giorno incorporando lungo la strada cittadini salvadoregni e guatemaltechi. Il cammino lungo 2.000 chilometri non è stata un’impresa facile; dopo alcuni giorni di cammino la carovana è stata respinta dalla polizia messicana alla frontiera tra Messico e Guatemala. Le lunghe attese sul ponte Rodolfo Robles, sulla frontiera naturale chiamata fiume Suchiate, che separa il Guatemala dal Messico, hanno generato un vero e proprio campo profughi dove bambini, donne e uomini di tutte le età aspettavano di poter fare il loro ingresso legalmente in Messico. Finalmente il 21 ottobre circa 7000 migranti riescono a superare la frontiera e procedere nel loro cammino che durerá ancora settimane di stenti. A fine novembre le autorità americane hanno attaccato alcuni membri della caravana con gas lacrimogeni nel loro tentativo di oltrepassare il muro di Tijuana. In precedenza il Presidente Trump aveva annunciato che i richiedenti asilo centroamericani sarebbero dovuti rimanere in Messico mentre i loro casi venivano analizzati dalle autorità statunitensi per evitare quella che definì una “situazione pericolosa e costosa”. Contemporaneamente una corte federale della California aveva bloccato una proposta dell’amministrazione Trump che avrebbe precluso la possibilità di richiesta d’asilo a coloro che avrebbero attraversato la frontiera USA-Messico illegalmente. Il risultato è uno stato di caos senza un obiettivo ben definito a breve termine.
Migliaia di centroamericani stanno continuando a seguire l’esempio dei vicini onduregni organizzando carovane autonome nei vari Paesi della regione. Ma da cosa fuggono queste persone?
Secondo Amnesty International le principali ragioni che portano a migrare gli abitanti del cosiddetto Triangolo Nord del Centro America (El Salvador, Guatemala e Honduras) sono la povertà e la violenza.
Proprio dopo un noto calo della violenza negli anni ’90, successivo alla conclusione dei conflitti armati in Centro America, le bande criminali (conosciute come maras) e la criminalità organizzata hanno reso il Triangolo Nord una delle sottoregioni più pericolose al mondo negli ultimi dieci anni. Le attività delle maras sono aumentate insieme all’afflusso di deportati dagli Stati Uniti appartenenti a gang criminali e all’influenza dei cartelli della droga messicani nella regione.
Nel 2012, l’Honduras era uno dei paesi più mortali al mondo, non considerando zone di guerra, registrando 92,7 omicidi per 100.000 abitanti. San Pedro Sula, seconda città del Paese, è stata classificata la città più letale del mondo per diversi anni consecutivi. Negli ultimi anni, l’Honduras continua a figurare come uno dei Paesi più pericolosi nella regione e nel mondo, anche se i numeri di omicidi sono leggermente scesi. Anche San Salvador e Cittá del Guatemala sono costantemente collocate tra le città non in zona di guerra più pericolose del mondo.
La violenza è particolarmente forte nei confronti di alcune fasce vulnerabili di popolazione come donne, membri della comunitá LGBTQ, bambini e giovani minori di 24 anni.
In questo contesto di violenza dilagante e paura non è difficile immaginare perché le persone scelgano di fuggire dal Triangolo Nord. L’ondata di richieste di asilo da parte di persone provenienti da Honduras, Guatemala ed El Salvador supera di gran lunga i numeri registrati durante l’era dei conflitti armati della regione. Il numero di rifugiati e richiedenti asilo che hanno presentato nuove domande da El Salvador, Guatemala e Honduras è aumentato del 1475% dal 2011 al 2017.
Molte di queste domande sono state respinte. I tribunali statunitensi hanno negato il 79% delle domande di asilo provenienti da El Salvador e il 78% di quelle provenienti dall’Honduras.
Il fenomeno degli sfollati interni (IDPs) è altresì preoccupante; il Global Report on Internal Displacement del 2017 stima che quasi 220.000 salvadoregni siano stati costretti a fuggire a causa della violenza generalizzata nel 2016. Questi numeri collocano El Salvador al secondo posto, solo dopo la Siria, per numero di nuovi sfollamenti in relazione alla popolazione.
Nonostante le restrizioni dell’amministrazione Trump, salvadoregni, guatemaltechi e onduregni continueranno a fuggire e cercare una vita migliore altrove. Una prima conferma è arrivata il 15 gennaio 2019 quando nuove carovane sono partite dall’Honduras e da El Salvador
Tuttavia in pochi mesi lo scenario è cambiato, dalle restrizioni severe imposte dai governi centroamericani per reprimere la creazione di nuove carovane, alle nuove disposizioni del Presidente Messicano Andrés Manuel López Obrador. Da quest’anno, a tutti coloro che saranno in possesso di un documento d’identità valido sarà concesso l’ingresso nel territorio messicano dove saranno tenuti a registrarsi e a presentare una richiesta formale.
In Chiapas è stato aperto un centro di accoglienza per i migranti provenienti da Tecún Umán (Guatemala), dove potranno fermarsi per un anno tutti coloro che hanno fatto ingresso nel Paese regolarmente e in possesso di un permesso di soggiorno. Il Presidente AMLO ha dichiarato che alcuni migranti centroamericani potrebbero essere assunti per la costruzione del Tren Maya tra gli Stati del Chiapas e Quintana Roo.
Nonostante le sentenze delle Corti Federali contro l’Asylum Ban, il processo di richiesta d’asilo continua ad essere lento e complicato, portando anche a 12 settimane il tempo per poter affrontare un primo colloquio con le autorità competenti.
Nel 2019 i migranti centroamericani dovranno dunque affrontare tante sfide ma potranno beneficiare di nuove possibilità nel vicino Messico. Una cosa è certa, le carovane continueranno a partire, resta solo da capire come reagiranno i governi coinvolti nella lunga marcia verso una nuova vita.