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SUDAN: a teatro con il programma “Italia Cultura Africa 2019”

Torna dopo oltre cinquant’anni il capolavoro letterario di Tayeb Salih a lungo vietato in Sudan: migrazione, inclusione sociale e molto altro in scena nel progetto teatrale di Aics Khartoum


La sera scende veloce sul palco circondato da palme e yucca giganti. Nel giardino del Rashid Diab Art Centre di Khartoum il pubblico continua ad arrivare per assistere alla messa in scena de “La stagione della migrazione a Nord” di Tayeb Salih.
Lo spettacolo, tratto dal romanzo considerato un capolavoro della letteratura del Sudan e a lungo vietato in questo paese, è stato realizzato all’interno del programma “Italia Cultura Africa 2019” e ha visto la collaborazione tra MIBAC, Ambasciata Italiana in Sudan e le organizzatrici teatrali PAV, coordinati dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
“La stagione della migrazione a Nord” è una delle opere in lingua araba più tradotta al mondo e narra del ritorno a casa di un giovane dopo anni di permanenza in Europa con tutte le difficoltà che deve affrontare per reintegrarsi. “Tornai alla mia gente dopo una lunga assenza, sette anni per la precisione, durante i quali ero stato in Europa ad apprendere. Avevo appreso molto, e molto mi era sfuggito, ma quella è un’altra storia, l’importante è che tornai con dentro un’immensa nostalgia per i miei cari in quel piccolo villaggio sull’ansa del Nilo”.
Il pubblico che ha assistito all’opera il 18 settembre 2019 era composto per la maggior parte da sudanesi: gruppi di amici, famiglie, giovani in jeans e camicia, adulti in caftano bianco e qualche ragazza con i capelli scoperti. Nell’aria si respirava una palpabile attesa, unita a una dose di festoso e composto orgoglio.

 

Il romanzo, pubblicato nel 1966, narra le mille storie di un villaggio sull’ansa del Nilo e soprattutto la tragedia di Hosna, una donna costretta a sposare in seconde nozze un uomo molto più vecchio di lei, che alla fine ucciderà prima di togliersi la vita; una storia che purtroppo si ripete anche nelle odierne cronache sudanesi.
Lo spettacolo ha il coraggio di sottoporre alla stessa società di cui è tragica espressione, una riflessione oggi ancora più attuale sui temi della migrazione, della parità di genere e del ruolo della donna nella società sudanese, nonché sulla
titolarità e l’esercizio dei suoi diritti. Tutte questioni prioritarie per l’ufficio dell’AICS a Khartoum, impegnato in iniziative a Port Sudan, Gedaref, Kassala e a Khartoum stessa, volte a dare voce e opportunità alle donne e ai migranti. La rappresentazione teatrale riesce a evocare il dramma di una doppia assenza, nella quale chi parte non sarà più la stessa persona, ma vivrà lo sconcerto di una sorta di moltiplicazione culturale.
Il programma “Italia Cultura Africa 2019” è uno dei molteplici interventi in cui è ramificata l’azione dell’AICS in una vasta porzione d’Africa, capace di stabilire un dialogo con la realtà in cui agisce attraverso uno sforzo costante – che meriterebbe di essere raccontato nei dettagli – volto a tenere insieme aspetti materiali e culturali. In questo ambito è stato realizzato un laboratorio teatrale condotto a due riprese, a marzo e a settembre, dalla regista Alessandra Cutolo. Ha collaborato anche il drammaturgo sudanese Nasreddin Abdallah. Il laboratorio ha coinvolto dieci attori del Teatro Nazionale Sudanese e del College di Music and Drama della Sudan University tra i quali anche cinque attori disabili, la cui presenza ha permesso di mettere in giusta luce il tema dell’inclusione sociale.

 

 

Lo spettacolo ha rappresentato, in una fase particolare di transizione per la cultura sociale e politica del Sudan, un confronto serrato composto da parole e gesti nei quali a riconoscersi sono stati per primi gli stessi attori della compagnia, formata da generazioni e professionalità diverse. Sul palco si sono avvicendati storici volti della tv e giovani allievi che hanno cominciato a far teatro guardando proprio questi maestri.
Per i giovani lo spettacolo è stato anche un’emozionante opportunità per lavorare insieme a loro. Anche il contributo dei ragazzi e delle ragazze sorde è stato fondamentale. La loro arte silenziosa ha rappresentato al meglio i movimenti di una danza ispirati alle azioni quotidiane: lavare i panni nel fiume, coltivare i campi, nuotare. Siamo di fronte a una compagnia in grado di applicare i codici della commedia dell’arte anche nelle scene di seduzione, in quelle che rappresentano una bevuta tra amici, un bacio profumato di Occidente o una discussione sul confronto tra Oriente e Occidente.

 

Con codici simili a quelli della tragedia greca si affrontano temi profondi come la pratica delle mutilazioni genitali, i delitti passionali o una discussione sulle formule del colonialismo economico. Emozionante in tal senso la scena in cui l’attrice sorda che interpreta Hosna viene affiancata dalle altre attrici che parlano per lei, a significare quanto il ruolo che interpreta non è solo la sua storia ma quella di tante donne sudanesi. Una compagine di attori dunque che trasmette risate e commozione al pubblico, le stesse vissute in prima persona durante le giornate di laboratorio e di riscrittura del testo, andato in scena in arabo con i sottotitoli inglesi e il titolo di “Life at the curve of the Nile”.
E quando, dopo un’ora di spettacolo, l’invocazione d’aiuto del protagonista si alza nel buio e il cerchio della danza finale libera l’entusiasmo degli spettatori, la distanza tra gli attori sul palco e i sudanesi che affollano il giardino sembra essersi dissolta. A rivelarsi è una comunità che nel teatro si è riconosciuta c che coltiva il desiderio che lo spettacolo non finisca mai. In questa chiave di lettura, l’interpretazione teatrale è stata decisamente un successo.

 

 

Alla stregua di ogni forma di messaggio linguistico, culturale, sociale proposto attraverso l’arte e il coinvolgimento emozionale, anche con il teatro è stato possibile aprire ampi spazi di riflessione su argomenti che, se proposti attraverso canoni solo formali, si rivelerebbero dei tabù. La speciale licenza teatrale ha consentito al non detto di esprimersi, generando reazioni a catena e una profonda consapevolezza di gruppo.

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