Sudan, svolta sulle Mgf: vacilla una tradizione arcaica e violenta
L’impegno dell’Aics nel Paese africano, per l’emancipazione delle donne e la lotta contro le mutilazioni genitali femminili
Il Sudan si colloca al 168° posto su 189 paesi negli indici di sviluppo umano e disuguaglianza di genere (2019), a indicare le disparità legate al genere ancora radicate nel paese; non figura tra i paesi firmatari della Convention on the Elimination of all forms of Discriminations against Women (Cedaw) e ha firmato, ma non ratificato, il Protocollo dell’African Charter on Human and People’s Rights on the Rights of Women in Africa.
Più significativa nelle aree rurali rispetto alle aree urbane, la discriminazione di genere è aggravata da situazioni di estrema povertà e vulnerabilità, come nel caso delle donne con disabilità. Norme sociali, pratiche tradizionali, legislazioni e leggi consuetudinarie modellano il ruolo e lo status delle donne sudanesi, influenzando la loro integrazione nel settore produttivo, tra le più basse dell’Africa orientale (la partecipazione della forza lavoro femminile si attesta a poco oltre il 30 %, nel settore formale non agricolo, la percentuale scende al 17%, dimostrando una sovra rappresentazione femminile nell’economia informale).
Nonostante questo quadro critico, il Sudan ha vietato le mutilazioni genitali femminili (Mgf) con una pena punibile fino a tre anni di carcere, oltre al pagamento di una multa: l’approvazione dell’emendamento al codice penale risale allo scorso 2 maggio ed è frutto di un lungo ma inarrestabile processo sociale e politico oltre che del lavoro incessante delle organizzazioni internazionali e i governi per l’affermazione dei diritti delle donne,, che ha visto nel frattempo la destituzione di Omar Al-Bashir e l’istituzione di un governo di transizione verso la democrazia. L’approvazione della legge, dunque, arriva in un momento di fondamentale importanza storica per il Paese, impegnato tra l’altro nella lotta al contrasto dell’epidemia di coronavirus, che sta colpendo anche molti Paesi africani.
La notizia, a cui la stampa internazionale ha dato grande risalto, assume importanza nel contesto sociale sudanese, in cui, stando ai dati delle Nazioni Unite, 9 donne su 10 in un’età compresa tra i 15 e i 49 anni sono state sottoposte alla pratica delle mutilazioni genitali, pari a circa l’88% della popolazione femminile. , Il quadro si fa ancora più inquietante se si pensa che la stragrande maggioranza delle operazioni viene effettuata dal personale medico: chiaro segnale, questo, della sua facile accessibilità, ed elemento che contribuisce purtroppo alla continuazione di questa terribile pratica. Altre volte la mutilazione genitale femminile è effettuata da circoncisori tradizionali, perlopiù donne, che nei villaggi rurali la praticano a fronte di un pagamento e trasformandola quindi in fonte di reddito. Tale pratica, pur rappresentando una gravissima violazione dei diritti fondamentali, risulta a tutt’oggi parte integrante di norme e valori del sistema sociale, causando gravi conseguenze sulla salute fisica, emotiva e mentale delle ragazze e delle bambine che la subiscono. “La pratica delle mutilazioni genitali femminili non è correlata esclusivamente allo stato sociale e a dinamiche familiari, ma si inserisce piuttosto all’interno di un certo tipo di cultura in cui, tramite le mutilazioni, la giovane donna possa garantire onore familiare e opportunità di matrimonio” afferma Akram Abdel Gayoum, della sede dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) della capitale Khartoum, già parte del team di valutazione del progetto nazionale contro le Mgf, nel 2013.
Ma in cosa consistono esattamente le mutilazioni genitali femminili?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ne individua quattro tipi, tutti accomunati dalla rimozione totale o parziale dei genitali esterni, a cui fa seguito talvolta la cucitura pressoché totale della vagina, ad eccezione di un piccolo foro per il passaggio dell’urina e del sangue delle mestruazioni (quest’ultima operazione, definita più propriamente infibulazione, rientra nelle mutilazioni del terzo tipo ed è accompagnata dalla rimozione parziale o totale delle piccole e grandi labbra).
L’uso così diffuso di questa pratica, a cui fa seguito il rischio concreto per la giovane donna di sviluppare emorragie al momento dell’operazione, di contrarre in seguito importanti infezioni pelviche delle zone circostanti, nonché di avere serie difficoltà al momento del parto o problemi di infertilità, comporta anche pesanti ricadute psicologiche, per non parlare della rilevanza che ha nell’aspetto sociale.
Cosa cambia dunque con l’approvazione di questo decreto?
Anche se la strada per l’uguaglianza di genere e l’inclusione sociale delle donne è ancora lunga, è sempre Akram Abdel Gayoum a fornirci uno spunto interessante, invitandoci a guardare l’approvazione della legge dal punto di vista dei minori e in particolare delle bambine e delle giovani ragazze. Cosa significa questo passo per loro? “Senza dubbio rappresenta il punto di partenza verso la costruzione di una società più giusta, in cui vengano garantiti maggiormente i loro diritti, e in cui il loro Stato sappia tutelarle” afferma Gayoum.
Qual è il ruolo della Cooperazione italiana in Sudan?
La strategia della Cooperazione Italiana in Sudan nel settore genere si fonda sulle linee guida di Aics e della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne e si articola seguendo le seguenti priorità d’azione: empowerment economico delle donne e sviluppo agricolo: si basa sulla formazione professionale e sull’avviamento di esperienze di micro-imprenditoria femminile, promosse attraverso un sistema creditizio gestito dalle associazioni medesime; supporto tecnico alle istituzioni locali, promuovendo l’approccio di gender mainstreaming: il dialogo con le controparti istituzionali, in particolare il ministero del Welfare e quello dell’Agricoltura, ha l’obiettivo di sostenere e indirizzare la discussione sulle politiche nazionali nel settore genere, tra cui l’elaborazione della strategia Gender e Agricoltura, anche attraverso il potenziamento del meccanismo nazionale delle unità per il mainstreaming di genere; lotta alla violenza di genere: le iniziative della Cooperazione Italiana contro la violenza di genere sono andate rafforzandosi, promuovendo il ruolo delle associazioni femminili come motore di sviluppo, a partire dall’eradicazione della violenza di genere nel settore dell’istruzione – formale e informale, in partenariato con il ministero dell’Educazione di Port Sudan; promozione dei diritti alla salute sessuale e riproduttiva: si basa su interventi volti alla promozione dei diritti di salute sessuale e riproduttiva, attraverso la creazione di spazi in cui le donne abbiano accesso a informazioni di qualità fornite da personale formato in termini di diritti e servizi disponibili. Tali interventi agiscono in modo sinergico con le iniziative sulla salute materno-infantile nel settore sanitario.
La sede Aics di Khartoum, inoltre, porta avanti un lavoro di sensibilizzazione contro le Mgf e altre pratiche tradizionali nocive all’interno di ospedali, villaggi rurali ma anche nelle zone urbane e nella capitale, collaborando con il personale ospedaliero sudanese ma soprattutto con le midwives, le ostetriche, che giocano un ruolo cruciale nella prevenzione e nel fornire assistenza medica e consulenza a bambine e ragazze che hanno subito mutilazioni genitali. La speranza è di vedere un numero sempre più basso di donne che hanno subito questa pratica e di eliminarla una volta per tutte, così come dimostrato dall’impegno del primo Ministro Hamdok nell’appoggio della campagna per l’eliminazione della pratica dal Sudan entro il 2030. L’emendamento recentemente approvato è uno storico passo al quale dovrà seguire un continuo e costante impegno della comunità nazionale e internazionale.