SUDAN
Una giornata a Mayo
Nel campo per rifugiati e sfollati interni di Mayo, alla periferia della capitale sudanese Khartoum, l'intervento di Aics si è concentrato negli ultimi anni sul miglioramento della fornitura idrica e dell'igiene, puntando sulla formazione e con il coinvolgimento importante delle donne. Il racconto di una visita in un luogo di speranza
Sono le 9:30 di mattina di un giorno di metà ottobre, fa caldo, quasi 30 gradi, dicono “freddo per essere in Sudan”. Salgo in macchina in direzione di Mayo, un campo rifugiati sito alla periferia della capitale Khartoum che ospita circa 600.000 persone, soprattutto rifugiati e sfollati interni provenienti dal Darfur, dalle Montagne di Nuba, dal Kordofan e perfino dal Sud Sudan.
Non so cosa aspettarmi, sono agitata, emozionata, curiosa. Ho sempre visto tante foto, letto tanti racconti, ma finalmente ho l’opportunità di conoscere questo luogo dal vivo. Mi affaccio dal finestrino della macchina e la prima cosa che vedo sono grandi distese di spazzatura, tanta polvere, nessuna strada asfaltata, capre scheletriche, casette di fango. In fondo spicca però una parete piena di colori. “È la scuola Ghaar Hiraa a Mayo Mandella”, mi dice Francesca Nardi, Communication officer della sede Aics di Khartoum, e così quel paesaggio grigio, spoglio, quasi desertico, in un attimo prende vita. Vedo bambini che corrono felici e ridono; finalmente con un banco su cui scrivere. In un attimo la malinconia che avevo provato fino a quel momento scompare per trasformarsi magicamente in speranza. Speranza che quei bimbi potessero godere di uno spazio sicuro in cui passare le loro giornate e non stare più in strada. Speranza che potessero anche loro andare a scuola e studiare.
“È arrivato il momento di scendere”, dice nel frattempo l’autista. “Siamo arrivati al centro pediatrico di Emergency”. L’Osc italiana, assieme ad Aispo e Coopi, è presente a Mayo con progetti finanziati dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics). “Grazie al vostro progetto la mia famiglia ha ricevuto una cisterna d’acqua che ancora oggi utilizziamo. È utile per depositare l’acqua e mantenerla pulita evitando soprattutto nel periodo delle piogge epidemie”, spiega Rosemary, una signora sulla quarantina, sorridente, con un bambino tra le braccia, che mi invita ad entrare nella sua piccola casa appena inizio a parlarci. Rosemary è mamma di quattro figli, beneficiaria del progetto “Emergenza, acqua, servizi igienici e igiene, rafforzamento della resilienza delle comunità più vulnerabili nella zona di Mayo”.
L’iniziativa realizzata da Coopi e finanziata dall’Aics aveva come obiettivo quello di affrontare gli effetti dirompenti della crisi economica, le inondazioni e l’impatto della pandemia Covid-19. A seguito delle valutazioni e raccomandazioni della Fondazione Cima, un altro partner importante della cooperazione italiana, Coopi ha lavorato per l’installazione di serbatoi per convogliare e raccogliere l’acqua piovana, prevenendo così i danni delle inondazioni e delle piogge intense. La pulizia dei canali di drenaggio nella zona ha anche contribuito a mitigare l’impatto di potenziali inondazioni e i possibili effetti come l’insorgenza di malattie.
Questo progetto è stato implementato durante la delicata fase politica di transizione che ha messo a dura prova il Sudan per tutto il 2020. Questo periodo è stato segnato anche dal deterioramento del valore della moneta nazionale, che si è tradotto in un forte aumento dei prezzi dall’inizio di quell’anno, unito alla diffusione del Covid-19, al conseguente lockdown, oltre che alle forti precipitazioni e alle alluvioni. Le conseguenze di questi eventi sono state più evidenti per le famiglie più vulnerabili della capitale Khartoum perché hanno rreso l’accesso al mercato alimentare estremamente difficile. Questo ha complicato ulteriormente le condizioni di vita a Mayo, una zona di Khartoum già provata da 30 anni di isolamento e stigmatizzazione, dove mancano i servizi più elementari e i mezzi di sostentamento per la sua popolazione.
Durante l’implementazione delle attività del progetto, sono stati raggiunti due risultati principali: il miglioramento delle infrastrutture comunitarie Wash (Water Sanitation Hygiene) per la raccolta dell’acqua e il miglioramento delle condizioni nutrizionali delle comunità più vulnerabili.
Coopi afferma che è stata registrata un’elevata partecipazione delle donne durante le sessioni di formazione (più del 50% dei partecipanti) e dei bambini durante la campagna mobile integrativa di sensibilizzazione sull’igiene e Covid- 19. Questo conferma che i workshop hanno avuto un grande successo in termini di coinvolgimento delle donne. Le donne sono le principali responsabili delle loro famiglie e Coopi ha riportato un numero molto alto di famiglie guidate da donne nelle aree di intervento (61% in Angola e 57% a Mandela). Una forte presenza di donne è stata registrata anche nelle sessioni di lavoro di quattro giorni (50%). Da queste interazioni è stato confermato anche un certo grado di consapevolezza da parte della comunità sul problema di gettare la spazzatura negli scarichi, e in qualche modo anche sulle conseguenze ambientali dei cattivi comportamenti.
Il miglioramento delle condizioni nutrizionali delle comunità più vulnerabili è stato totalmente raggiunto. Le famiglie beneficiarie del cesto alimentare sono state il doppio di quelle stabilite dall’obiettivo iniziale. Le vulnerabilità sono state identificate seguendo i criteri specifici: dimensioni della famiglia (numero di bambini), famiglie con membri con disabilità o affetti da malattie croniche, famiglie con capofamiglia donna; donne incinte, famiglie con rifugiati, Internal displasced peopole e rimpatriati, famiglie colpite da inondazioni.
Tra le famiglie beneficiarie c’è anche quella di Nema Hamed Adam che sottolinea quanto l’attività di sensibilizzazione rispetto al Covid sia stata utile: “Oggi so cosa vuol dire quando si parla di emergenza-Covid”, afferma. Nema ha perso tante persone care a causa del virus ma ora ha capito “quanto le piccole azioni possono fare la differenza, dal lavare le mani frequentemente ad indossare la mascherina”.