Tra insicurezza, siccità e guerra, una fabbrica modello nel cuore dell’Afghanistan rurale
Ad Herat è attivo un impianto per la produzione industriale di latte, yogurt e burro, con personale dell'Unione delle Cooperative locale: è un progetto finanziato da Aics è oggi un esempio di media impresa dell’antico crocevia commerciale dell’Asia.
I dintorni della città di Herat, tra ruvide montagne e colline brulle, custodiscono pascoli preziosi. Proprio nei distretti di Karukh, Injil e Guzara circa 500 allevatori di mucche, affiliati all’Unione delle Cooperative per lo Sviluppo della Zootecnia (Herat Livestock Development Union – Hldu), raccolgono il latte, necessario per la produzione industriale di latte fresco confezionato e yogurt.
Gli effetti delle siccità degli ultimi anni hanno duramente colpito gli abitanti della zona e l’opportunità dell’intervento ha registrato entusiasmo e speranza. Indicatori non di progetto ma che siamo lieti di ravvisare nella popolazione afgana, da sempre prima vittima dell’instabilità del Paese.
Qui il progetto in fase di chiusura finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), “Sostegno all’Agricoltura e allo Sviluppo Rurale – Sard” è il “sequel” di un primo programma “Sviluppo integrato della catena del latte ad Herat” avviato dalla Fao nel 2007 con fondi dell’allora Cooperazione Italiana, conclusosi nel 2013. Quest’ultimo, tra le attività realizzate segnaliamo: percorsi di formazione per gli allevatori e allevatrici sulle norme igienico-sanitarie per la raccolta e conservazione del latte, superando la modalità “rurale” in uso fino a quel momento; produzione e acquisizione di nuovi mangimi dotati di vari principi nutritivi per migliorare l’alimentazione delle mucche da latte; prelievo quotidiano del latte dagli allevatori nei distretti coinvolti, aumentando le precedenti tre volte a settimana, con cisterne e autisti adeguatamente formati al relativo trasporto.
Il Sard, rinnovato nel 2014 nella sua funzionalità e obiettivi, punta a migliorare la sicurezza alimentare e lo sviluppo della piccola e media imprenditoria nella provincia di Herat, aumentando, in questo caso, la capacità produttiva lattiero-casearia e la sostenibilità a lungo termine della Hldu. Una scommessa vinta se si pensa che la produzione di latte, yogurt e burro dell’Unione delle Cooperative, oggi ha conquistato una fetta del mercato locale, vincendo la forte concorrenza dei prodotti importati dai vicini Iran e Pakistan.
Nella zona industriale di Herat si trova il caseificio dell’Unione e qui nel periodo estivo si processano mediamente i 3mila litri di latte raccolti ogni giorno. L’impianto è totalmente gestito da personale afgano dell’Hldu, sia nella parte manageriale che tecnica. Il progetto Sard ha colmato alcune carenze gestionali e tecniche dell’Unione delle Cooperative, quali: potenziamento della raccolta del latte e della produzione casearia su base giornaliera; ristrutturazione degli ambienti destinati al deposito del latte; riorganizzazione delle risorse umane e dell’organigramma aziendale; identificazione di un dipartimento marketing per ampliare la distribuzione delle vendite dei prodotti lattiero-caseari utilizzando anche radio e televisioni locali e poster commerciali. Operazioni semplici ma che hanno profondamente inciso sull’operatività e produttività dell’impianto e della sua catena di alimentazione, permettendo l’effettivo decollo del progetto.
Oggi è il signor Ali Ahmad Noori, responsabile tecnico del caseificio, a illustrarci i risultati: “Abbiamo un Responsabile di laboratorio e uno per la produzione, addetti alla manutenzione delle macchine e uno specialista della produzione lattiero-casearia. In inverno raccogliamo 35mila litri di latte al mese. In estate arriviamo a 55mila. I nostri prodotti vengono distribuiti e venduti in tutta la Provincia di Herat, e raggiungono anche le Province di Nimroz, Mazar-e-Sharif, Farah e Kabul. I ricavi coprono le spese di produzione, della raccolta latte e di gestione. La Cooperazione Italiana ci ha fornito gli strumenti che ci hanno fatto conseguire questi traguardi: formazione, supporto amministrativo per ottenere le licenze e la loro registrazione al ministero dell’Agricoltura, Irrigazione e Zootecnia, fornitura dei macchinari e un piano di marketing. Ne abbiamo fatto davvero tesoro!”.
Anche gli allevatori, affiliati all’Unione delle Cooperative, guardano al progetto non solo come opportunità di guadagno ma anche come fonte di ampliamento delle conoscenze zootecniche. Abdul Majid, allevatore di 55 anni, sposato e padre di 11 figli che vive nel villaggio di Qala Shorbat nel distretto di Karukh, ci tiene a raccontare una vicenda che ci immerge in quella realtà rurale e a tratti ancora distante da quel progresso oramai acquisito dall’Occidente. “Non conoscevamo l’importanza e la valenza dell’inseminazione artificiale. A dire il vero non ne avevamo proprio coscienza. Ma abbiamo seguito un corso di formazione sull’argomento. Ci sembrava impossibile far nascere un vitello senza un toro! Eravamo restii alla pratica e quasi ci appariva un’azione malvagia. Alla fine abbiamo provato e il risultato ci è parso prodigioso. Il vitellino nato attraverso l’inseminazione artificiale era uguale a tutti gli altri. Da quel momento, abbiamo iniziato a fecondare le nostre mucche seguendo quegli insegnamenti. Oggi molti allevatori della zona hanno vitelli di razza, nati in questo modo. E siamo anche diventati molto competitivi cercando di allevare mucche di razza nei nostri pascoli, per ottenere una migliore qualità del latte” racconta il signor Majid. “Nessuno deve essere lasciato indietro” recita il motto dell’Agenda 2030 e la testimonianza di Majid, nella sua semplicità, invita a una riflessione su quanto invece ci sia da fare in questo senso perché la strada verso uno sviluppo sostenibile sia sempre più accolta e fruibile a tutti, nondimeno evidenziando come iniziative di questo tipo siano efficaci.
Nel villaggio di Bainanha, sempre nel distretto di Karukh, è il signor Abdul Hadi, 35enne, sposato e padre di quattro figli, allevatore affiliato all’Unione delle Cooperative, racconta un’altra lezione appresa dal progetto: “In pochi mesi abbiamo raccolto del denaro per la cooperativa per comprare un terreno per il caseificio. Siamo andati ad Herat a vederlo ed era solo un appezzamento di rovi e pietre. Rimanemmo basiti, senza parole. Come da quel terreno brullo sarebbe potuto nascere qualcosa? E invece dopo un anno la stessa terra era diventata un giardino accogliente, e subito dopo venne installato l’impianto caseario, completo di macchinari anche per la produzione di mangimi per le nostre mucche. Oggi siamo orgogliosi di tutto questo e abbiamo imparato a non giudicare troppo presto”.
Majid e Hadi, insieme a tutti gli iscritti all’Unione delle Cooperative, hanno ricevuto formazione su norme igienico-sanitarie per la conservazione del latte, sugli strumenti e modalità della mungitura affinché il ciclo di produzione del latte non subisca danni e mantenga la qualità. Anche le donne della zona, tradizionalmente addette alla mungitura secondo le usanze locali, hanno ricevuto questo tipo di formazione e oggi contribuiscono in modo significativo alla raccolta del latte. Gli stessi spiegano che l’industria e il consumo dei prodotti lattiero-caseari non è ancora ben consolidata in Afghanistan, ma vedono la domanda crescere di giorno in giorno e quindi aumentare la possibilità di maggiore profitto. Lo stesso ministero dell’Agricoltura afgano in una nota sul proprio sito ha confermato questa tendenza.
“Nei primi momenti del progetto – ricorda Majid – eravamo restii a portare il latte presso l’impianto caseario. Quasi ci vergognavamo a portarlo. Poi abbiamo iniziato ad avere fiducia prima in noi stessi e poi nel progetto e oggi cerchiamo di fare del nostro meglio per aumentare il nostro guadagno”.
Anche Hadi, racconta un suo timore iniziale: “Non pensavamo che un giorno avremmo raccolto così tanto latte e che la nostra collettività avrebbe mostrato grande interesse per questo programma”.
Timori in entrambi i casi superati. Hadi e Majid raccolgono in media 10/15 litri di latte al giorno da vendere all’impianto. L’introito mensile (circa 100 euro, si pensi che lo stipendio medio per un afgano è al di sotto dei 200 euro mensili) consente loro di provvedere ai bisogni delle proprie famiglie in modo completo e con più sicurezza ed affrontare necessità improvvise.
Questo è il lato umano dell’iniziativa “Sostegno all’Agricoltura e allo Sviluppo Rurale” che Aics Kabul persegue insieme agli altri obiettivi di progetto. Sempre con e per la popolazione afgana.