Un anno senza scuola in El Salvador, tra madri a lavoro e digital divide
I bambini sono costretti a frequentare le lezioni attraverso le piattaforme di video conferenza. Il divario digitale tra coloro che hanno accesso alla rete e agli strumenti tecnologici e coloro che non ce l’hanno, inasprisce le disuguaglianze sociali, culturali ed economiche già esistenti nel Paese.
Nella parte occidentale di El Salvador, undici chilometri a est di Acajutla, nel dipartimento di Sonsonate, si schiude tra i promontori una distesa di sabbia dorata: la spiaggia di Los Cóbanos. Si tratta di un’area naturale protetta, anche per la presenza della barriera corallina, la più grande del pacifico settentrionale con i suoi 157 chilometri. Arrivando a Los Cóbanos si è travolti dai colori, dalla loro brillantezza: il verde della vegetazione a picco sul mare, le lancha dei pescatori e la sabbia fina, di origine vulcanica, con i piccoli rancho di paglia e lamiera arroccati uno sull’altro.
Passeggiando, una delle prime cose di cui ci si rende conto è la moltitudine di bambini che corrono ovunque, che giocano insieme, che litigano, gridano e che affaccendati si danno da fare per aiutare gli adulti. Ogni mattina gli uomini escono in mare, a pescare o ad accompagnare i turisti nelle escursioni, e le donne lavorano come pupuseras o come cameriere nei ranchos di fronte alla spiaggia, mentre badano ai bambini: un’impresa titanica. Così che i bambini si badano da soli, gironzolano liberamente in piccoli gruppi, li conoscono tutti nella comunità, giocano tra loro e spesso, incuriositi, sono attratti dai turisti.
Qui tutti la chiamano La China a causa dei suoi meravigliosi occhi a mandorla. La piccola Isabel ha gli atteggiamenti di una ragazza vissuta e nel suo modo di fare non c’è traccia della fanciullezza. Se in un primo momento i suoi modi di fare mi fanno sorridere, in seguito il suo ostentare atteggiamenti non propri di una bambina di sette anni mi lascia pensierosa, chissà dove è finita la sua spensieratezza. È molto cauta quando parla della sua famiglia, mi racconta, un po’ titubante, che la sua mamma è messicana poi si corregge: sono state insieme in Messico, forse tentando di migrare verso gli Stati Uniti. Mi sembra di parlare con una coetanea che scambia due parole con me sulle problematiche di tutti i giorni, se non per il fatto che dal suo racconto si evince che non abbia ben chiare le motivazioni delle scelte degli adulti. Ama gli accessori e in generale tutto ciò che le sembra avere un valore, è incuriosita dai miei orecchini e ha difficoltà a stare ferma. Giocando insieme a Isabel mi rendo conto che non sa leggere anche se lei, con atteggiamento sicuro, mi legge tutto il menù del ristorante, inventandolo con arguzia.
Carlos è più piccolo, ci vede giocare e scivola lentamente vicino a noi. Nonostante il suo atteggiamento da duro, da uomo vissuto, traspare nitidamente la sua tenerezza. È un bambino paffuto di sei anni, curioso e vivace ma sempre rispettoso: “non si toccano le cose degli altri” recita con sguardo minaccioso puntando il dito verso La China, che a quanto capiamo deve essere sua cugina. Passiamo qualche ora insieme, ci racconta della sua famiglia, della sorella maggiore che lavora nel negozio di famiglia, aiuta la madre a fare le pupusas, piatto tipico di El Salvador a base di un impasto di farina di mais oppure riso. . Alla fine giochiamo a scrivere sulla sabbia, ama scrivere e ci mostra quello che ha imparato in questo anno, il suo primo anno di scuola elementare. Carlos riesce a scrivere quasi tutte le parole se chi le detta fa uno spelling molto lento e l’unico piccolo problema che sembra avere è che inverte tutte le lettere. Lo guardo scrivere, appassionato e fiero di riuscire nell’intento, e non ho il coraggio di correggerlo, non servirebbe a niente, ma dentro di me sorge una domanda. Sarà dislessico?
La storia di Isabel e di Carlos è la storia di tanti bambini che, anche a causa della pandemia, non hanno accesso ai servizi che sarebbero utili al loro sviluppo, primo tra tutti la scuola. Entrambi mi raccontano che quest’anno, per colpa del Covid-19, non sono andati a scuola e per seguire le lezioni hanno guardato la televisione, sul canale appositamente dedicato all’istruzione. E come è chiaro che sia, non hanno imparato neppure a scrivere il loro nome senza commettere errori.
Che ne è delle video lezioni? La digitalizzazione è davvero la soluzione più adatta a questo paese? Molte sono le perplessità al riguardo.
Innanzitutto è necessario prendere in considerazione la cosiddetta brecha digital, ossia il divario digitale, che genera gravi disuguaglianze sociali, tra coloro che hanno l’accesso alla rete, le competenze per connettersi e le risorse economiche che lo permettono e coloro che non hanno queste componenti. Ad esempio secondo uno studio dell’anno 2020 condotto da Microsoft, Iica e Bid nelle aree rurali del Centro America meno del 37 per cento della popolazione ha accesso ad internet, contro il 71 per cento delle aree urbane. Questo ritardo nella connettività, a causa della mancanza del segnale, ha un forte impatto sulla produttività e sull’accesso ai servizi pubblici di base, come ad esempio la scuola. Inoltre è necessario considerare le condizioni economiche delle famiglie salvadoregne: quante famiglie possono permettersi di acquistare un computer per far partecipare i figli alle lezioni online? Secondo la Direzione Generale di Statistica e Censo, solo una famiglia su dieci possiede un computer. Al contrario quasi tutti, soprattutto le fasce più giovani, possiedono uno smartphone, che comunque non è lo strumento migliore per assistere alle lezioni online e non è detto che abbiano accesso ad internet.
Infine, fingendo per un secondo che i problemi precedenti non esistano, o che riguardino una piccola fetta della popolazione, c’è da considerare il fatto che nell’educazione in casa, attraverso video lezioni, il ruolo del genitore diviene cruciale ai fini dell’apprendimento. Infatti, soprattutto nel caso di bambini della scuola primaria, i genitori sono obbligati a seguire le lezioni per connettersi alle piattaforme di videoconferenza, per supportare il bambino nell’adempiere alle richieste del docente e per seguire il bambino nella fase pratica dell’apprendimento, oltre che impedire che il bambino si distragga continuamente, trovandosi nel luogo domestico piuttosto che in classe. Bisogna anche considerare che la maggior parte delle famiglie hanno più di un figlio e dunque è necessario moltiplicare le problematiche per il numero di figli. Anche questo punto fa sorgere dei dubbi. I genitori hanno le competenze per aiutare i bambini? Sono in grado di utilizzare gli strumenti tecnologici che presumibilmente hanno a disposizione? Hanno il tempo di seguire i figli o le risorse economiche per pagare qualcuno che lo faccia mentre lavorano?
Tita vive nel municipio di Ahuachapán con le sue due figlie di 15 e di sei anni. La più grande è molto brava, ci dice, fa i compiti da sola e anche quest’anno, nonostante le difficoltà, ha imparato molto. La più piccola non ha partecipato alle lezioni, sarebbe stato il suo primo anno di scuola e lo ha saltato del tutto, con grande rammarico di sua madre che vorrebbe assicurare alle figlie un futuro migliore del suo. Tita è una madre soltera che si guadagna da vivere facendo le pulizie. Tita non sa né leggere né scrivere, e pertanto le è totalmente impossibile riuscire a seguire la sua bambina nelle attività scolastiche.
È importante sottolineare che in questa società è compito designato alle donne quello di assistere i figli ma, allo stesso tempo, è necessario prendere coscienza del fatto che il divario digitale, oltre a dipendere da fattori come la provenienza e l’istruzione, dipende anche dal genere. Ciò significa che mediamente le donne hanno più difficoltà di accesso alla tecnologia o, essendo mediamente meno istruite, hanno più difficoltà nell’utilizzo di determinati strumenti, ancora, percependo un salario mediamente più basso hanno meno risorse da investire in tecnologia. Si potrebbe continuare per ore. Ma il punto è un altro: chi deve occuparsi dell’istruzione dei bambini e dei ragazzi, accompagnandoli e guidandoli nel processo di apprendimento? Definitivamente non il genitore, cui spetta un altro ruolo, seppur complementare.
Puntare tutto sulla digitalizzazione può creare ad un effetto boomerang, aggravando inesorabilmente il divario sociale, culturale ed economico già esistente. Se nessuno si farà carico del problema, adempiendo al compito dell’apprendimento con metodi accessibili e dunque più consoni ad un Paese in via di sviluppo, come El Salvador, i più giovani saranno semplicemente abbandonati a loro stessi, con gravi ripercussioni a scapito della società di domani e del futuro del Paese.