Viaggio nella periferia di Maputo, dove si combatte il nuovo coronavirus
Nascono strategie nuove per combattere il virus fra le casette informali del quartiere di Chamanculo, bairro a quindici minuti dal centro della capitale del Mozambico
La prima volta che sono stata a Chamanculo è stato con Davide, collega che lavora alla sede dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) di Maputo e che, approfittando della visita di una delegazione di urbanisti arrivata dall’Italia, ha accettato di farmi scoprire uno dei quartieri più interessanti e problematici della capitale. Tutto ciò accadeva a febbraio 2018, ed io ero arrivata a Maputo da un mese, la mia prima destinazione africana.
L’intero distretto di Chamanculo conta 150.000 abitanti – una città nella città, e nel bairro C (quartiere in portoghese) vivono circa 26.000 persone. Qui è nata la campionessa olimpionica di atletica leggera Maria de Lurdes Mutola, ed è una delle baraccopoli (insediamenti informali) più antiche della capitale. È anche una delle aree dove le piogge torrenziali che periodicamente allagano la capitale causano più danni, con dissesti, frane e inondazioni in strade (quasi tutte non cementate), case e scuole.
È incredibile come si riesca in quindici minuti di macchina a passare dalla città, con i suoi palazzi moderni, i suoi casinò costruiti dai cinesi, le sue ville coloniali e le belle passeggiate sul lungomare, alla periferia fatta di baracche, vicoli tortuosi, bancarelle informali. Immagino che fosse quello il pensiero che mi martellava mentre attraversavamo il quartiere, con gli occhi incollati al finestrino e poi per quei vicoli a piedi, mentre l’ansia iniziava a crescermi nel petto.
Siamo arrivati, passeggiando, ad un parco giochi colorato in mezzo a una piccola piazza. Pieno di bambini, pieno di occhi sorridenti. Davide ha spiegato che quella piazza è stata rinnovata da un nostro intervento, e che prima che Aics finanziasse la sua riabilitazione, quella era una zona pericolosa perché poco illuminata. Adesso, si è trasformata in un piccolo parco giochi, è stata pavimentata per limitare i danni che provocano le piogge, e imbellita con piante e alberi.
“Io sono un papà”, mi dice uno dei membri della delegazione, un professore universitario. Poi si avvicina ai bambini che giocano sulla giostra, e chiede uno ad uno, improvvisando un portoghese che assomiglia molto all’italiano, quanti anni hai, come ti chiami, e loro rispondendo si fanno timidi timidi. Il professore poi torna verso di me, mi dice andiamo che sono commosso, e vedo che ha gli occhi così lucidi e così pieni che ho paura che esplodano da un momento all’altro.
Vicino alle giostre c’è la scuola primaria “Unidade 13”, una struttura moderna frequentata da 1800 bambini tra i 6 e i 15 anni. Qui Aics è intervenuta con Avsie Cesvitem, due Osc attive anche nel settore dello sviluppo urbano, rinnovando il sistema di illuminazione, acquistando libri, computer, divise scolastiche, organizzando attività ricreative per i bambini, e costruendo un nuovo blocco di aule, in modo da poter ridurre i turni scolastici da 3 a 2. In che senso i turni scolastici sono stati ridotti (deve aver chiesto qualche membro della delegazione a Davide)? In quel momento scoprivo che in Mozambico ci sono talmente tanti alunni e talmente pochi professori che le scuole devono organizzarsi per dare lezioni su più turni, dalla mattina presto a metà pomeriggio. E nonostante i turni, i bambini nelle classi continuano a essere moltissimi.
Continuiamo la nostra visita, Davide ci fa vedere i vicoli che negli anni abbiamo fatto allargare, in alcuni casi anche spostando le abitazioni circostanti, per permettere un passaggio più agile e sicuro. Ci ritroviamo in uno spiazzo, dove due donne sedute per terra cucinano e vendono pane e badjias, uno spuntino fritto a base di farina di fagioli, una delle merende preferite dai mozambicani. Le donne ci vedono così bianchi e così spaesati che decidono di regalarcene un paio, di badjias. Ce le siamo mangiate con gusto, e poi siamo tornati alle macchine.
Davide ci ha raccontato un sacco di cose quel giorno, ma gliele ho dovute richiedere un miliardo di volte dopo la visita, perché non lo stavo ascoltando del tutto. Davide deve aver detto, per esempio, che l’Italia lavora nel barrio da anni (dal 2011), quando insieme a Banca Mondiale, Brasile, e Cities Alliance abbiamo ricostruito alcune delle infrastrutture di base del quartiere, come la strada che abbiamo percorso in macchina, il canale di drenaggio delle acque piovane e il Centro Comunitario dove oggi ragazzi e ragazze di Chamanculo frequentano corsi di danza; deve aver aggiunto che grazie a questa iniziativa sono stati prodotti i primi studi pilota per la riqualificazione integrata del quartiere e delle aree informali di tutta la capitale.
Sono passati due anni da quel pomeriggio, e alcune cose sono cambiate. Quando vado a Chamanculo, ho sempre gli occhi incollati al finestrino, ma l’ansia se n’è andata via. Nel quartiere continuiamo a lavorarci, anche e soprattutto oggi, con una nuova iniziativa (secondo me Davide lo aveva già raccontato, quella volta là), attraverso la quale costruiremo nuove infrastrutture, daremo impulso alle attività di salvaguardia ambientale e ai servizi di utilità pubblica, e con Avsi, lavoreremo per la promozione dello sviluppo socioeconomico.
È cambiato che è arrivato il coronavirus, anche in Mozambico, e ci ha obbligato a ripensare tutto quanto. Dopo un’attenta analisi con le autorità locali e con Avsi, abbiamo optato per destinare alcune delle attività in corso del programma “Rigenera: riqualificazione integrata del bairro Chamanculo C a Maputo” alla prevenzione e sensibilizzazione. Sappiamo che chi soffrirà maggiormente gli effetti della pandemia – non solo le conseguenze dal punto di vista sanitario, ma anche gli effetti delle misure di prevenzione stabilite dal governo – saranno le fasce più vulnerabili della popolazione, come gli abitanti di Chamanculo.
Difficile adottare il distanziamento sociale, in un quartiere dove intere famiglie vivono in baracche di pochi metri quadrati; difficile limitare al massimo gli spostamenti, quando la maggior parte della popolazione sopravvive vendendo verdure, o frutta e fiammiferi, nelle bancarelle per strada, tutti i giorni; difficile che ci si possa lavare spesso le mani, dove manca l’acqua. A giugno di quest’anno abbiamo iniziato a sostenere le attività preventive nella nostra risposta al Covid-19 in Mozambico. A Chamanculo sono stati installati punti di lavaggio mani a pedali, distribuiti materiali informativi attraverso le nostre Osc, attivata una linea telefonica per denunciare casi di violenza domestica per le donne costrette a rimanere in casa.
Dopo le piogge, il virus, la crisi economica, aspettiamo moltissime altre delegazioni, e speriamo che vengano a visitare un quartiere rinnovato, dove si continuano a vendere e mangiare badjias, dove si continua a giocare nelle piazze, ma dove non sarà più così stridente il contrasto tra città e periferia.