Violenza di genere in Sudan, come in molti altri Paesi africani, significa violenza domestica, violenza sessuale, violenza psicologica, mutilazioni genitali femminili, matrimonio precoce.
Con le sue parole, Rehab, giovane donna di Gedaref ultima di quattro sorelle, ci parla della sua difficile infanzia: “You bring the shame on our family” (“Hai portato la vergogna nella nostra famiglia”) è l’accusa che la nonna le ha rivolto quando a 8 anni Rehab – con il supporto della mamma – non fu “tahara (purificata)” come si usa dire in Sudan. Rehab oggi lavora per una Organizzazione della società civile (Osc) internazionale ed è venuta a Khartoum per seguire un corso organizzato da Aics Khartoum, nell’ambito del programma Werise! finanziato dall’ Unione Europea. “Cerco di fare capire alle donne, mie coetanee, che mutilare le bambine è una violenza contro l’anima, contro l’infanzia, una tortura”.
“Accadde quando avevo 8 anni. Allora mi trovavo in Arabia Saudita e prima di tornare in Sudan per le vacanze sono stata purificata (tahira in arabo). Non c’era altra possibilità. Le mie tre sorelle, mia madre, mia nonna lo avevano giaà fatto. Io non volevo essere diversa. Oggi non lo farei alle mie figlie”, ci confessa Awadia, quasi nascondendosi dietro la tazza di caffè che stringe tra le mani.
Secondo lo studio svolto da Unfpa nel 2020, in Sudan le percentuali di mutilazioni genitali femminili (Fgm) e di matrimoni precoci sono allarmanti: l’87% delle donne sopra i 14 anni e il 17% al di sotto degli 8 anni sono state mutilate, con una maggiore incidenza nel Nord Kordofan (97.7%), East e Nord Darfur (97.3%). Nella capitale Khartoum circa l’87.5% della popolazione femminile è mutilata. “Avevo 11 anni. È arrivato un uomo nel villaggio e aveva con sé un coltello con una lama che luccicava come un pezzo di specchio. Mi presero da parte e tolto una parte di me. Ero la più grande e non potevo piangere perché avrei gettato la vergogna sulla mia famiglia”, con queste parole ci racconta la sua storia Fatima.
Queste le storie raccolte nei momenti liberi del workshop rivolto a 13 organizzazioni della societa civile sudanese impegnate nella “Campagna dei 16 giorni contro le violenze di genere” (Gbv, Gender Based Violence), con la partecipazione di ostetriche, ginecologi, pediatri, medici di famiglia, chirurghi.
Gli argomenti trattati sono stati molti e i partecipanti, all’inizio esitanti nel portare alla luce le loro proprie esperienze, hanno quindi iniziato a interagire in maniera attiva. “La violenza di genere è un problema diffuso in molte società. Sinergia unione d’intenti e coordinamento tra comunità internazionale e locale sono elementi chiave per il successo nella prevenzione e nella lotta contro le Gbv” afferma Costanza Matafù, esperta gender presso la sede Aics di Khartoum. Nello svolgimento del corso abbiamo introdotto il glossario di genere e spiegato il vocabolario, cercando di andare oltre la vergogna associata a determinate parole cariche di significati negativi, ha sottolineato l’esperta.
Come per le mutilazioni genitali femminili anche i matrimoni precoci sono percepiti come una delle principali forme di violenza di genere. Il 38% delle donne in Sudan viene fatta sposare in età giovanissima, spesso ancora bambine: “Senza un uomo, la donna non ha un’opinione, sposarsi ti dà la libertà e non vieni trattata come baira (termine dispregiativo per la donna non sposata). Sposarsi significa anche non dover più essere un peso economico per la tua famiglia di origine, essere protette, cosi si esprime una giovane donna del Blue Nile”.
“E poi? Il Sudan ha vietato le mutilazioni genitali femminili con una pena punibile fino a tre anni di carcere, oltre al pagamento di una multa: l’approvazione dell’emendamento al codice penale risale allo scorso 2 maggio 2020 ed è frutto di un lungo ma inarrestabile processo sociale e politico, oltre che del lavoro incessante delle organizzazioni internazionali e dei Governi per l’affermazione dei diritti delle donne”, afferma Akram Abdel Gayoum, esperto sudanese di in Gender Based Violence della sede Aics di Khartoum.
Il titolare di sede Michele Morana ha quindi concluso le giornate formative con un saluto rivolto ai partecipanti. Il messaggio che ha voluto trasmettere è stato di apprezzamento per l’impegno profuso e la partecipazione mostrata nel rendere il workshop vivo ed intenso, e di incoraggiamento per tutte quelle donne – madri, insegnanti, studentesse, professioniste, esperte nel lavoro sociale – che ogni giorno vivono sulla loro pelle discriminazioni e talvolta violenze, con un auspicio che la causa della lotta contro violenza di genere diventi sempre più patrimonio universale.